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Buoni sconto per i farmaci

Provate ad andare su quasi tutti i siti web ufficiali di un farmaco di marca disponibile negli Stati Uniti e, insieme a collegamenti per la prescrizione e per le informazioni sulla sicurezza, troverete i link per acquistarli con buoni-sconto e sistemi di co-pagamento con carte per le rateizzazioni mensili. La maggior parte delle offerte sono variazioni sul tema: “Perché pagare di più? Con la carta di risparmio è possibile ottenere il farmaco X per solo 18 $ per prescrizione” o “Prendi un campione di prova di 30 capsule di farmaco Y con la prescrizione del medico e chiedi al medico se va bene per te”. Perché i produttori offrono buoni-sconto per i farmaci? È una buona cosa per i pazienti? Questa è la domanda che si fanno gli autori di un recente articolo del NEJM.(1)

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Cina: nubi sulla ricerca farmacologica

Un articolo del New York Times pubblicato online il 22 luglio 2013 riferisce che i dirigenti della multinazionale britannica GlaxoSmithKline (GSK) erano stati avvisati due anni fa sui problemi cui stava andando incontro la ditta nel suo centro cinese di ricerca e sviluppo, con potenziali rischi finanziari e legali.(1) Il New York Times ha avuto accesso a un documento riservato del novembre 2011 che sembra indicare come i problemi per GSK vadano oltre eventuali pratiche immorali di marketing, al centro dello scandalo attuale, e si estendano al centro di ricerca che GSK ha creato a Shanghai per lo sviluppo di farmaci neurologici.

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La rottura della partnership tra un istituto di ricerca e un’industria farmaceutica

Il non raggiunto accord tra l’Istituto Mario Negri (IMN) e la GlaxoSmithKline (GSK) su un importante progetto di ricerca porta alla luce sfide importanti per le partnerships tra pubblico e privato.(1) L’IMN ha deciso di non partecipare a un progetto per affrontare la resistenza agli antibiotici a causa dei rigidi accordi legali e nei confronti della confidenzialità dei dati imposti dalla GSK, del fatto che la stessa controllava il disegno della rierca e l’accesso ai dati.

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Il mea culpa di Fiona Godlee, caporedattore del BMJ

Ben Goldacre, l’autore di Bad Pharma (tradotto in italiano come Effetti collaterali) si chiede come facciano molte organizzazioni sanitarie ad adottare Linee Guida in collaborazione con l’industria del farmaco. In questo errore è caduto niente meno che il BMJ, ed ecco come spiega l’accaduto Fiona Godlee. Il BMJ aveva chiesto all’Associazione Britannica Produttori di Farmaci (ABPI) la sponsorizzazione per due meeting, uno sull’accesso ai dati degli RCT e un secondo sul ruolo dell’industria nell’ECM.

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Il parere di Ben Goldacre

Sul divorzio di cui sopra ha espresso il suo punto di vista sul BMJ anche Ben Goldacre, assieme a due coautori.(1) Essi ribadiscono che la Guidance conteneva gravi distorsioni dei fatti. Affermava, per esempio, che tutte le informazioni sui trils clinici condotti dall’industria sono accessibili al pubblico. Sappiamo che non è vero: le migliori stime disponibili ci dicono che di circa la metà dei trials non sappiamo nulla. Affermava che vi è un robusto quadro di regole che impone la pubblicazione dei dati.

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Il matrimonio con Big Pharma si è concluso con il divorzio*

Vi ricordate tutta la discussone sulla Guidance (Guidance on Collaboration between Healthcare Professionals and the Pharmaceutical Industry and Clinical Trial Transparency)? Siamo intervenuti anche come NoGrazie con una lettera sul BMJ e ne ha scritto estesamente Guido Giustetto su Dialogo sui Farmaci (2012;3:136-8). Si trattava di un tentativo di redigere e approvare una guida per un partenariato fra medici e industria farmaceutica.

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La medicina basata sulle evidenze diventa più vecchia ma non più saggia?

Nel 1995 David Sackett condusse uno studio su un ospedale inglese da cui risultò che il 53% dei pazienti aveva ricevuto un trattamento basato su RCT e il 29 % su evidenze non sperimentali ma convincenti. Diciotto anni dopo lo studio è stato ripetuto con le stesse modalità, stesso ospedale e stesso numero di pazienti,(1) rilevando che il 22% dei pazienti aveva ricevuto un trattamento in base a RCT mentre il 61% secondo convincenti evidenze non sperimentali.

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Perché non possiamo avere fiducia nelle linee guida*

Nel 1994 un piccolo gruppo di studiosi stabilì che tutte le donne che avevano una densità ossea inferiore a 2,5 deviazioni standard rispetto alla norma erano osteoporotiche e quelle con densità fra -1.0 e -2.5 osteopeniche. Dopo quella data l’osteoporosi divenne una malattia universalmente riconosciuta. Anche se quel livello di densità ossea doveva avere solo un valore epidemiologico, divenne di fatto la soglia per un intervento farmacologico sempre più diffuso.

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Chi è il nemico dell’ECM? Il conflitto d’interessi o il bias?

I crediti ECM sono richiesti agli operatori sanitari per continuare ad esercitare la professione. Negli USA, nel 2011, il 75% dei providers di crediti ECM ricevevano sostegno finanziario e tecnico dall’industria della salute, con Big Pharma in prima fila. Un recente articolo del JAMA si chiede se questo sostegno presenti più problemi per l’implicito conflitto d’interessi o per il bias, cioè la sistematica inaccuratezza delle informazioni, che vi è associato.(1) Gli autori pensano che il bias abbia effetti più gravi e che prevenirlo sia perciò più importante che prevenire il conflitto d’interessi. Da informazioni inaccurate, infatti, derivano non solo pratiche errate da parte degli operatori di quei corsi ECM, ma anche linee guida e politiche errate che hanno effetti a più ampio raggio.

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Bevande energetiche e alcol: la ricerca finanziata dall’industria minimizza i danni

Mescolare alcol a una bevanda energetica è un’usanza popolare, ma con quali e quanti rischi?(1) In alcuni paesi circa il 40% della gente si intossica con miscele di queste bevande il venerdì e il sabato sera. Un’indagine italiana mostra che l’85% degli studenti di una Facoltà di Medicina riferisce il consumo di bevande energetiche mescolate con alcol nel mese precedente l’inchiesta.(2)

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Articolo completamente inventato e accettato da 157 riviste

Un giornalista di Science si è inventato un articolo pieno di errori facilmente identificabili e l’ha inviato a 304 riviste “open access”.(1,2) Riviste di questo tipo spuntano attualmente come funghi e danno la possibilità ai ricercatori di pubblicare i loro articoli, pagando somme ragionevoli ma a volte anche elevate per renderli accessibili liberamente e gratuitamente al pubblico.

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Molte riviste mediche non obbligano ancora a registrare i trials clinici

Per stabilire la percentuale di riviste mediche che richiedono la registrazione obbligatoria dei trials clinici per accettare un articolo, e per capire le ragioni per l’adozione o meno di tale regola volta a ridurre il bias di pubblicazione, gli autori di questo studio hanno inviato a un campione casuale di 200 riviste una richiesta per ricevere il testo completo delle istruzioni per gli autori e una valutazione di editori e caporedattori sul bias di pubblicazione.(1)

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L’EMA dovrebbe rendere pubblici i suoi dati sui farmaci approvati negli ultimi 10 anni

Association Internationale de la Mutualité, Health Action International Europe, International Society of Drug Bulletins, e Medicines in Europe Forum chiedono che l’EMA (European Medicines Agency) renda accessibili tutti i dati sui farmaci approvati negli ultimi 10 anni, e non solo quelli dei farmaci che saranno approvati dopo il 1 marzo 2014, come propone l’EMA stessa.(1)

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I dati resi pubblici da Big Pharma sono solo una parte di quelli in suo possesso

Questo studio pubblicato su PLoS Med icine compara le informazioni disponibili sui Clinical Study Reports (CSR), cioè le relazioni dettagliate sui trials clinici in possesso delle ditte farmaceutiche e rese disponibili volontariamente per questo studio, con quelle disponibili al pubblico nelle riviste mediche o nei documenti per la registrazione dei farmaci.(1)

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