Accalappiare famiglie, operatori sanitari, opinione pubblica e politica

Ogni cinque anni circa, dal 2003, il Lancet pubblica una serie di articoli sull’allattamento, accompagnati da editoriali, commenti, punti di vista, lettere e relative risposte. Questa volta però, con un lancio in pompa magna da Londra l’8 febbraio 2023,[1] seguito da lanci, con diverso pubblico e oratori, in altre regioni del mondo (Africa, Nord America, Australasia), ha fatto il botto. Ha creato cioè enorme discussione, pro e contro, perché gli articoli denotano una presa di posizione politica mai vista prima.

Il primo articolo analizza le ragioni per cui i tassi di allattamento sono inferiori a quanto atteso e raccomandato da tutti o quasi.[2] Come si sa, i fattori associati al non allattamento o all’abbandono prematuro dello stesso sono molti: individuali, familiari, economici, sociali, e chi più ne ha più ne metta. Ma il Lancet punta il dito contro il marketing diretto a genitori e operatori sanitari. Strategia principale di questo marketing è far passare per anormali condizioni del neonato e della madre che sono invece fisiologiche: sveglie notturne, pianti inattesi, irrequietezza, rigurgiti. Assieme a questo messaggio arriva l’offerta di una soluzione: una formula normale per supplire a una supposta insufficienza di latte materno, o una formula speciale per affrontare supposte condizioni anomale. I genitori cercano aiuto e, se non sono fortunati, incappano in operatori sanitari, pediatri in primis, che assecondano i dubbi instillati dal marketing, consigliano una formula normale o speciale, e stimolano la mamma a dare un’aggiunta, che un po’ alla volta mina la produzione di latte materno, o addirittura a sostituirlo del tutto.

Il secondo articolo descrive e analizza in dettaglio le strategie di marketing dell’industria dei sostituti del latte materno.[3] Allo scopo, si riferisce soprattutto a due rapporti pubblicati dall’OMS nel primo semestre del 2022: il primo sul marketing in generale,[4] il secondo sul marketing digitale.[5] Prima di far ciò, gli autori riportano e commentano le tendenze riguardanti vendite, consumi e profitti. Le vendite delle quattro categorie di formula (infantile, di proseguimento, di cosiddetta crescita, e speciali) sono cresciute dai 1.5 miliardi di dollari del 1978 ai 55.6 miliardi del 2019, un aumento di 37 volte in 40 anni. Il mercato, a livello globale, è controllato al 60% da sei multinazionali (Abbott, USA; Danone, Francia; Feihe, Cina; Freisland Campina, Olanda; Nestlé, Svizzera; Reckitt Benckiser, Gran Bretagna) e a livello nazionale da due o tre di queste. È difficile, se non impossibile, sapere quanto valga la spesa per marketing rispetto alle vendite; le stime variano dall’1% al 33%. Ci sono dati precisi per una ditta che produce solo formula: la spesa per marketing è stata di 627 milioni di dollari nel 2016, il 16.7% delle vendite (3743 milioni) e il 46.7% del costo di produzione (1341 milioni), a fronte di un guadagno netto di 2402 milioni di dollari. E il marketing funziona. Per ogni kg/bambino di formula venduta, i tassi di allattamento si abbassano dell’1.9%, con variabilità legata alla situazione socio-economica del paese. E le vendite vanno da 1-2 kg/bambino nei paesi più poveri fino a punte di 50 kg/bambino in quelli più ricchi. A chi volesse saperne di più sulle strategie di marketing, e sull’onnipresenza e pericolosità di quello digitale, consigliamo la lettura dei due rapporti dell’OMS già citati.

Il terzo articolo è il più politico,[6] tanto che gli autori sono stati scherzosamente etichettati come “terroristi politici” durante il lancio della serie a Londra. Gli autori esaminano, con un approccio di economia politica, le cause prime dei bassi tassi di allattamento, per capire come mai a genitori e famiglie sia impedito di fare le scelte ottimali, come e perché gli operatori sanitari e coloro che elaborano politiche e linee guida siano cooptati dall’industria, e per quale ragione in molti paesi non si dia priorità alla protezione, promozione e sostegno dell’allattamento. Da decenni le ditte hanno creato una vasta rete globale di lobbisti, hanno inventato la cosiddetta responsabilità sociale delle imprese, hanno scoraggiato o impedito l’elaborazione e l’applicazione di regole, hanno investito per riparare e abbellire la loro immagine, e hanno diversificato la loro gamma di prodotti per sfuggire in continuazione alle leggi vigenti. L’espansione e la globalizzazione di questa industria ha trasformato l’alimentazione infantile in mercato e commercio. Il potere finanziario che ne consegue opera in un’economia deregolata che permette la messa in atto di strategie aggressive per accumulare profitti e capitali. Inoltre, come già scritto, la tendenza è al monopolio, come da manuale del capitalismo. Ci sono poi le alleanze: da un lato quella con le multinazionali del marketing e delle pubbliche relazioni, dall’altro quella con l’industria lattiera e degli altri prodotti necessari a fabbricare la formula. Queste alleanze servono a rafforzare e a rendere più efficaci le attività di lobby sia a livello nazionale e sovranazionale (Commissione e Parlamento Europei, per esempio), sia presso le organizzazioni internazionali come OMS, FAO, Organizzazione Mondiale del Commercio e Commissione del Codex Alimentarius (l’organismo che regola gli standard industriali per gli alimenti). L’industria dei sostituti del latte materno, come quelle di tabacco, alcol e alimenti ultra-processati, investe molto (ma non si sa quanto) in attività di lobby a questi livelli, come anche, per imbiancare la propria immagine, in benevolenza e nella cosiddetta responsabilità sociale e ambientale. Spesso, inoltre, si nasconde dietro gruppi di facciata che fanno il lavoro sporco. Uno di questi, il Nestlé Nutrition Institute, si autodefinisce come “la più grande organizzazione privata al mondo per la ricerca su alimenti e nutrizione”, impiega circa 5000 persone in 30 sedi, pubblica 200 articoli l’anno, e li diffonde attraverso piattaforme di e-learning a oltre 300mila operatori. Si può facilmente immaginare quanto tutto ciò, ben conosciuto ai lettori della nostra Lettera, possa influire sull’informazione per e sul comportamento di operatori sanitari e pubblico, oltre che su chi elabora politiche.

A propria difesa, l’industria afferma di creare lavoro e sviluppo. Peccato che i profitti siano estratti dai consumatori, a danno di salute e nutrizione, dei sistemi sanitari, e dell’ambiente. Esternalità che, ovviamente, l’industria evita di nominare, come evita di citare il fatto che quei profitti, tassati in maniera ridicola, vanno in massima parte, il 97% circa, ad azionisti dei paesi ricchi, con effetti negativi sulle disuguaglianze globali. Nessuno poi, né le ditte né i governi, assegna un valore economico all’allattamento. Eppure si stima che il latte materno prodotto ogni anno nei soli paesi a reddito medio e basso, oltre 23 miliardi di litri (aumentabili del 40% se i tassi di allattamento fossero ottimali), valga 3.6 trilioni di dollari. Nel 2020, il PIL globale era pari a 85.24 trilioni di dollari. Il valore economico del latte materno prodotto nei paesi a medio e basso reddito corrisponderebbe al 4.2% del PIL globale; molto di più se tutte le mamme allattassero come raccomandato, e ancora di più se aggiungessimo i paesi ricchi. Ma l’allattamento non è solo latte materno, è soprattutto lavoro di cura. E tutto il lavoro di cura, non solo allattamento, è svolto al 75% dalle donne e, come l’allattamento, non rientra nel PIL. Se vi rientrasse, si stima che potrebbe corrispondere al 20-40% del PIL globale.

La serie di articoli del Lancet finisce con delle raccomandazioni. Sorvolando su quelle che riguardano le politiche e le leggi sull’alimentazione infantile, il controllo o la proibizione del marketing e dei conseguenti conflitti di interessi, il rispetto dei diritti fondamentali di donne e bambini, il riconoscimento (anche economico) del lavoro di cura, e il rafforzamento dei sistemi sanitari (con politiche fiscali progressive) nel settore materno infantile, vale la pena soffermarsi sul richiamo a mobilitare e finanziare alleanze tra gruppi e organizzazioni che si occupano di allattamento, alimentazione, salute delle donne, sistemi sanitari, sostenibilità ambientale, etc., affinché promuovano campagne a favore dell’applicazione delle raccomandazioni precedenti.

Adriano Cattaneo

1. https://player.4am.ch/who/20230208_BMS/index.html?lang=en

2. Pérez-Escamilla R, Tomori C, Hernández-Cordero S et al. Breastfeeding: crucially important, but increasingly challenged in a market-driven world. Lancet 2023; (published online Feb 7.) https://doi.org/10.1016/S0140-6736(22)01932-8

3. Rollins N, Piwoz E, Baker P et al. Marketing of commercial milk formula: a system to capture parents, communities, science, and policy. Lancet 2023; (published online Feb 7) https://doi.org/10.1016/S0140-6736(22)01931-6

4. World Health Organization, United Nations Children’s Fund (‎UNICEF)‎ & M&C Saatchi World Services. Multi-country study examining the impact of marketing of breast-milk substitutes on infant feeding decisions and practices: commissioned report. World Health Organization ‎2022. https://apps.who.int/iris/handle/10665/354094

5. WHO. Scope and impact of digital marketing strategies for promoting breastmilk substitutes. Geneva: World Health Organization, 2022 https://www.who.int/publications/i/item/9789240046085

6. Baker P, Smith JP, Garde A et al. The political economy of infant and young child feeding: confronting corporate power, overcoming structural barriers, and accelerating progress. Lancet 2023; (published online Feb 7) https://doi.org/10.1016/S0140-6736(22)01933-X

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