Sangue di granchio, ingrediente indispensabile per il vaccino anti-Covid

Questa piccola riflessione sulla biodiversità parte dalla lettura di una lettera apparsa di recente sul Lancet.(1) Sulle spiagge del New Jersey, quando arriva la luna piena, migliaia di granchi a ferro di cavallo (horseshoe crab) si affollano per deporre le uova. Per gli uccelli marini, e per altri esseri viventi che contribuiscono alla biodiversità della baia, è un grande banchetto, essenziale per la loro sopravvivenza.

Questo tipo di granchio (in realtà più vicino agli aracnidi), che può arrivare a 50 cm di diametro, è presente sulla terra da circa 450 milioni di anni, ha visto cioè comparire e scomparire i dinosauri, giungendo intatto fino ai nostri giorni come un vero e proprio fossile vivente. Da qualche decennio il suo numero si sta riducendo, oltre che per la pesca e il deterioramento delle baie marine, a causa del suo sangue prezioso. Decine di migliaia di granchi ogni anno sono salassati e poi rigettati nell’oceano. Dal loro sangue si estrae un lisato di cellule (amebociti) che riconosce e neutralizza tutte le endotossine batteriche. Per questa ragione è usato per rimuovere i contaminanti presenti in farmaci, vaccini e protesi articolari, che in caso contrario potrebbero essere letali per i riceventi. Questa tecnica è in vigore dal 1970 e nel 1977 ha ricevuto l’approvazione FDA. Dopo la procedura, i granchi sono rigettati in mare. Sembra però che il 30% non si riprenda dopo il salasso e che le femmine sopravvissute abbiano ridotta capacità di generare. Negli anni ’90, i biologi marini ne stimavano 1,24 milioni di unità presenti nella baia del Delaware, nel 2019 sembra che il numero si sia ridotto a poco più di 300mila. Tre ditte, le uniche a produrre il lisato negli USA, sostengono il contrario.

Per loro si tratta di un vero affare. Per la precisione, il lisato del sangue di granchio costa sul mercato 60mila$ a gallone (quasi 16mila € al litro). Molte delle aziende che producono vaccini anti-Covid, ormai una trentina, sostengono che non esiste alternativa per testarne la sicurezza. Dal 2016 Europa e Giappone hanno adottato un’alternativa sintetica realizzata dall’Università di Singapore negli anni ’90, una proteina chiamata fattore ricombinante C (rFC), che qualche azienda americana aveva iniziato a usare. Di recente Pfizer ha dichiarato di non usare il sangue di granchio, anche se dal 2020 la farmacopea statunitense ha rifiutato l’alternativa rFC accettando per la registrazione solo il lisato del sangue di granchio. Chi vuole vendere un prodotto negli USA deve usare soltanto questo metodo.

Nessuno sa con precisione quale sarebbe l’impatto sull’ambiente se questo granchio scomparisse, cosa già avvenuta a Taiwan per una specie analoga. La perdita di biodiversità non viene spesso presa in considerazione, ma comporta un lento e irreversibile deterioramento della natura che ci circonda. La Convenzione sulla diversità biologica, nata a Rio de Janeiro nel 1992, è stata ratificata fino a oggi da 196 paesi, e si applica praticamente a tutti gli organismi viventi sulla terra. Gli obiettivi strategici più recenti sono stati enunciati ad Aichi, in Giappone, nel 2011 e sono stati nominati perciò Aichi target. Obiettivi da raggiungere in parte entro il 2020 e per un completo ripristino della biodiversità entro il 2050. Per arrivare a questo, circa 90 milioni di ettari di terreno richiedono il ripristino.

L’industria farmaceutica ha operato investimenti minuscoli sulla biodiversità, che è invece sostenuta da organizzazioni governative e non, e da privati filantropi. Nel 2016, l’industria farmaceutica ha registrato enormi profitti su una spesa in farmaci pari a 1,2 trilioni di dollari. Una parte consistente di questi guadagni deriva dalla natura, se è vero che fra il 1981 e il 2014 circa 2/3 delle piccole molecole registrate presso FDA sono state ispirate, direttamente derivate, o copiate da prodotti presenti in natura. Questo vale anche per la produzione di vaccini anti-COVID. Considerando la crisi in biodiversità che sta attraversando il nostro pianeta, sarebbe corretto che una parte dei profitti venissero impegnati a garantire la conservazione delle diverse forme di vita. Investire solo l’1% della spesa farmaceutica globale da ora fino al 2050 potrebbe ripristinare circa 17 milioni di ettari di pianura alluvionale, 82 milioni di ettari di mangrovie, 5 milioni di ettari di paludi d’acqua dolce o 282 milioni di ettari di foresta. È stato calcolato che dal ripristino della biodiversità si gioverebbero anche le aziende farmaceutiche creando dividendi fino a 30 miliardi di dollari. Dovrebbero farci un pensierino.

Giovanni Peronato

Siti web consultati

https://www.nationalgeographic.com/animals/article/covid-vaccine-needs-horseshoe-crab-blood

https://www.bbc.com/news/newsbeat-53333096

https://www.nhm.ac.uk/discover/horseshoe-crab-blood-miracle-vaccine-ingredient.html

https://en.wikipedia.org/wiki/Horseshoe_crab

1. Canning AD, Death RG, Waltham NJ. Pharmaceutical companies should pay for raiding nature’s medicine cabinet. Lancet 2021;398:840-1 https://www.thelancet.com/journals/lancet/article/PIIS0140-6736(21)01686-X/fulltext

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