I non vaccinati morirebbero sette volte di più? Sì… e No. Dati fuori contesto si prestano a usi strumentali

Il Report settimanale dell’Istituto Superiore di Sanità (ISS) del 20 luglio riporta che “il tasso di mortalità standardizzato per età della popolazione ≥12 anni, dal 27 maggio al 26 giugno 2022, è più alto nei non vaccinati di 4 volte rispetto ai vaccinati con ciclo completo da ≤120 giorni e di 6,5 volte rispetto ai vaccinati con dose aggiuntiva/booster”. Il messaggio risulta però fuorviante, per i motivi che seguono.

  1. Anzitutto, non chiarisce, come invece sarebbe doveroso, che che la mortalità di cui si parla è quella attribuita a COVID-19, e che la mortalità da COVID è solo una modesta frazione della mortalità totale, che nel quinquennio 2015-19 ammontava a circa 1800 morti al giorno. Una media da 90 a 180 morti al giorno per COVID rappresenterebbe rispettivamente dal 5% al 10% della mortalità totale.
  2. I report quotidiani con i numeri dei soli morti attribuiti a COVID non hanno permesso alla popolazione di aver chiaro questo concetto e di dargli il giusto peso. Sia perché ciò che conta di più per persone consapevoli sarebbe continuare a vivere (in salute), non “morire di qualunque cosa purché non da COVID”. Sia perché tale consapevolezza motiverebbeanche ad agire di più su altri ben provati fattori di rischio di morte, posto che in Italia ogni giorno e senza pandemia muoiono quasi 1.800 italiani, di cui ~250 per fumo, ~240 per sedentarietà (ISS, 2018), ~160 per inquinamento dell’aria (European Environment Agency 2021), ancor più per mancato consumo di cereali integrali (coorte EPIC)…

Molti dei suddetti fattori, oltretutto, determinano la maggior gravità e letalità di una COVID.

  • La mortalità totale, a differenza di quella da COVID, include anche gli effetti avversi diretti o indiretti delle strategie di contrasto alla pandemia (strategie prive di supporto scientifico o in potenza controproducenti includono: lockdown, mascherine usate anche quando non servirebbero o troppo a lungo, terapie come il paracetamolo; per i vaccini si veda anche quanto ai punti 5 e 7)
  • la mortalità totale in Italia si è ridotta, ma meno dell’atteso in associazione alle campagne vaccinali. La tabella (aggiornata da G. Di Palmo) con i dati Istat di maggio 2022, mostra per ogni mese e ogni regione l’anno (media 2015-2019, 2020, 2021 o 2022 fino a maggio) in cui la mortalità è stata maggiore, nella regione stessa. In molte regioni, soprattutto al Sud, la mortalità 2021 è stata maggiore rispetto al 2020. In 9 regioni, addirittura, il maggio 2022 ha visto il massimo di mortalità totale nel periodo, pur in dominanza di varianti Omicron estremamente meno letali delle precedenti, come documentano studi internazionali in Inghilterra, Canada, California, e ben 30 volte meno letali su tutta la popolazione dell’Abruzzo. Al contrario di quanto si sente ripetere, i dati mostrano che con Omicron la riduzione di letalità rispetto alla variante Delta è ancor più evidente nei non vaccinati, come ben documenta il citato studio Inglese, quello sull’Abruzzo, e anche un recentissimo studio sulla popolazione dell’area metropolitana di Milano. Si chiede di discutere se la mortalità che comunque si registra oggi sia effetto solo delle più miti ma contagiosissime Omicron, o/o anche dell’insistere con strategie sbagliate, che possono deprimere i sistemi immunitari.

Come rispondere alla tipica domanda: “Se i vaccini non avessero ridotto molto la mortalità, come spiegare la grande riduzione di mortalità nel 2021 rispetto al 2020?”.

In realtà, se si esclude la Lombardia, che ha avuto nel 2020 picchi spaventosi di mortalità in varie province, nel 2021 la riduzione rispetto al 2020 è stata di soli 13.300 morti.

In 10 regioni (specie del Sud, lontane dalle polveri sottili/PM2,5 della Pianura Padana, sinergico con la Covid) la mortalità nel 2021 è aumentata rispetto al 2020.

Forti riduzioni di mortalità totale nel 2021 erano prevedibili per molti motivi, oltre all’effetto atteso dalle vaccinazioni. Esempi di fattori certi di riduzione mortalità:

  1. i più anziani e fragili ci hanno lasciati nel 2020 (eccesso di ~100.000 morti, gli Italiani hanno perso in media 1,2 anni di vita…). Ciò comporta di regola un rimbalzo l’anno dopo
  2. 5,7 milioni di guariti ufficiali nel 2021 (+ almeno altrettanti pauci-/asintomatici non confermati, che hanno superato l’infezione), conimmunità robusta, duratura (anche con Omicron, benché meno che con precedenti varianti rispetto all’infezione, ma protezione altissima rispetto alla mortalità)
  3. Si sono evitati errori organizzativi gravi del 2020 (affollamento ospedali, mancanza dispositivi di protezione, infetti smistati da ospedali sovraccarichiin case di riposo…)
  4. Migliori conoscenze su trasmissione del virus e misure non farmacologiche
  5. Terapie migliori per casi gravi e critici
  6. Variante Omicron molto più mite (rispetto a Delta: meno ricoveri per infetto e più brevi, molti meno accessi in terapie intensive, letalità estremamente minore (Abruzzo).

Calcolati questi effetti sulla mortalità, la differenza netta può essere attribuita ai vaccini.

Due tipiche obiezioni a quanto su esposto sono che vi sarebbero “cause indirette opposte di maggior mortalità”:

  • ingressi ritardati in ospedale per paura della COVID, che fanno aumentare i morti cardiovascolari ecc. acuti per cure poco tempestive.
    Risposta: ma questo fattore dovrebbe aver pesato più nel 2020 che nel 2021!
  • Sui morti 2021 ha pesato il ritardo in screening oncologici, cardiovascolari, ecc.
    Risposta: indagini metaepidemiologiche (metanalisi di metanalisi) e revisioni sistematiche Cochrane hanno documentato che gli screening tumorali, cardiovascolari ecc. non si associano a riduzione di mortalità totale.

5) Come si stabilisce dunque in modo ragionevolmente certo se un intervento medico ha prove di modificare un esito (nel nostro caso la mortalità totale)? La scienza risponde:

Per valutare se un intervento sanitario modifichi la mortalità totale, gli studi più validi sono quelli randomizzati controllati (RCT, purché ampi a sufficienza, in doppio cieco, e idealmente pragmatici, cioè senza criteri di esclusione dei partecipanti), in grado di rendere omogenee le popolazioni a confronto per tutte le caratteristiche, note e non note (o non ancora note), in grado di influenzare l’esito da misurare. Ciò che varia tra i due bracci in questi RCT è solo l’intervento che si vuole valutare, somministrato al braccio sperimentale del RCT, mentre al braccio di controllo si dà un placebo, sostanza inerte in teoria indistinguibile dal prodotto attivo sia per chi la somministra, sia per chi la riceve.

Nel caso dei vaccini a mRNA le due ricerche che più si avvicinano alle caratteristiche descritte sono i due grandi RCT registrativi su adulti dei vaccini Pfizer (Polack, 2020) e Moderna (Baden, 2020). L’informazione essenziale sul totale dei morti dopo circa 6 mesi dall’inizio dei RCT (e quando, cambiando il protocollo originario, il doppio cieco è stato incredibilmente interrotto a 3 mesi e gran parte del gruppo di controllo ha ricevuto il vaccino…!) è fornita nei materiali supplementari del RCT di Moderna, con 16 morti nel braccio “vaccino” e 16 con placebo. Per il RCT di Pfizer l’informazione è stata fornita dal produttore alla Food and Drug Administration, che riporta 21 morti nel braccio con vaccino e 17 in quello (che aveva iniziato) con placebo. La differenza non è significativa, ma la tendenza è a svantaggio dei vaccinati, e non consente certo di affermare che questi vaccini abbiano prove da studi di alta validità di ridurre la mortalità in popolazioni simili a quelle randomizzate.

La credibilità di molti risultati di questi RCT è discutibile (Donzelli, 2022), perché entrambi presentano caratteristiche associate in ricerche metaepidemiologiche con esagerazione dei benefici e sottorappresentazione degli effetti avversi:

  • studi clinici troncati rispetto a quanto stabilito nel protocollo, con un numero di eventi tra 200 e 500, hanno mostrato di sopravvalutare i benefici rispetto alle metanalisi di studi non troncati che affrontano lo stesso problema (Bassler, 2010). 
  • Studi con doppio cieco assente o poco chiaro (rispetto a un vero doppio cieco) si associavano a esagerazione media del 13% per tutti i risultati e del 22% per i risultati soggettivi/misti, come sono i sintomi COVID (Savovic, 2012)
  • Studi con i principali ricercatori (il primo e l’ultimo autore di ogni articolo) con legami finanziari con il produttore di un farmaco in studio hanno mostrato un’associazione con risultati in media molto più favorevoli al prodotto dello sponsor (Ahn, 2017)
  • Studi con sponsor commerciale, rispetto a studi con sponsor pubblico o no profit, in una rassegna sistematica Cochrane (Lundh, 2018) hanno presentato esagerazione dei benefici (+27% nei risultati, +34% nelle conclusioni), e una tendenza a sopravvalutare la sicurezza: +37%.

Per quanto esposto, la credibilità dei risultati dei due RCT di Pfizer e Moderna andrebbe considerata con riserve rispetto ai benefici dichiarati, come per le dichiarazioni sulla sicurezza. Invece il riscontro di decessi in tendenza aumentati nel braccio vaccino dovrebbe risultare molto credibile, perché produttori dei vaccini e ricercatori con forti legami finanziari con gli stessi non avrebbero avuto alcun interesse ad ampliare gli effetti avversi riscontrati (piuttosto a sminuirli…).

L’interruzione di fatto degli unici confronti davvero equi e validi nei due suddetti grandi RCT, che ha impedito di valutare efficacia e sicurezza di tali vaccini per un tempo congruo, non si può ovviare con altri disegni di studio. Non solo per i numerosi e spesso ineliminabili fattori di confondimento che gravano su studi osservazionali rispetto agli RCT, ma anche perché gran parte di questi studi ha follow-up inadeguati, di mesi (talora solo settimane…), che valutano gli esiti nel periodo della “luna di miele” con il vaccino, per pochi mesi dopo 14 giorni dalla 2a dose, quando l’efficacia vaccinale è al massimo anche verso l’infezione (e ancor più nel proteggere da COVID gravi). Purtroppo, a distanza di pochi mesi per l’infezione e di più mesi per le forme gravi l’efficacia declina, fino ad avere forti prove di un’inversione/negativizzazione nel prevenire l’infezione, come si è già iniziato a documentare in altre occasioni.

6) Per tornare alle COVID gravi, i vaccini si associano alla loro riduzione, ma anche questo effetto declina nel tempo, benché più lentamente di quanto accada con l’infezione. Si consideri la fascia di età 40-59 anni (in cui rientra almeno metà dei lavoratori della Sanità), in cui la protezione dall’infezione è già diventata negativa, con un aumento del 10% di diagnosi rispetto ai non vaccinati (dati Bollettini ISS). La stessa situazione si presenta anche nei bambini di 5-11 anni, ininterrottamente dal 23 marzo.

La sequenza delle Tabelle 5 settimanali dei Bollettini ISS mostra l’importante erosione dei benefici, nei 6 mesi dal 19 gennaio al 27 luglio.

Nella fascia d’età 40-59 anni:

  • in termini di ospedalizzazioni, per soggetti con ciclo vaccinale completo da ≤120 giorni il beneficio si è ridotto di 9,9 volte, e di 5,5 volte quello di soggetti con dosi aggiuntive/booster.
  • per ricoveri in terapia intensiva, le rispettive riduzioni sono state di 14,5 e di 15,3 volte.

Nella fascia d’età 12-39 anni:

  • in termini di ospedalizzazioni, per soggetti con ciclo vaccinale completo da ≤120 giorni il beneficio si è ridotto di 3,6 volte, di solo 1,2 volte quello dei soggetti con dosi aggiuntive/booster.
  • per ricoveri in terapia intensiva, invece, le rispettive riduzioni sono state di 15 e di 5,3 volte, con valori che nelle ultime settimane superano quelli dei non vaccinati, pur con numeri molto piccoli (i bambini di 5-11 anni vaccinati hanno anch’essi da 7 settimane più presenze per milione in terapie intensive rispetto ai non vaccinati, benché con numeri piccolissimi).

7) Eventi avversi gravi di particolare interesse (AESI) correlabili a vaccinazione

Non si tratta di “eventi avversi gravi (serious) in generale”, che rispetto al gruppo placebo sono significativamente più frequenti con il vaccino Pfizer (e in tendenza con il vaccino Moderna), ma di un loro specifico sottogruppo: acronimo AESI. È un nuovo strategico capitolo, aperto da uno degli Editor del British Medical Journal, il Prof. Peter Doshi, principal investigator di una pubblicazione in preprint.

L’analisi di Doshi ha vantaggi rispetto a studi osservazionali post-marketing: deriva da RCT con placebo; usa una lista di Eventi Avversi di speciale interesse prespecificata adottata dall’OMS, disegnata per l’uso con vaccini COVID ben prima di conoscere i risultati dei RCT.

Gli Eventi Avversi di speciale interesse sono classificatiin tre categorie:

  • si vedono con la COVID-19
  • hanno associazione provata o teorica con vaccini in generale
  • o con una specifica piattaforma vaccinale.

Nel maggio 2020 il Comitato OMS per la sicurezza dei vaccini ha adottato la loro lista.

Le conclusioni sono dirompenti: gli eventi avversi gravi di speciale interesse, nell’analisi combinata dei due RCT di Pfizer e Moderna, superano da 2 a 5 volte i ricoveri COVID-19 risparmiati rispetto al gruppo placebo.

Conclusione

È tempo di riaprire la seria discussione scientifica istituzionale che la Commissione Medico-Scientifica indipendente (CMSi www.cmsindipendente.it) invoca da tempo, ragionando senza preclusioni a priori di strategie articolate (stili di vita, cure evidence based, vaccini mirati…) di protezione focalizzata nei confronti di chi rischia di più (come proposto anche dal Prof. Crisanti e altri importanti specialisti), rispetto a strategie monotematiche di vaccinazione universale. E – mentre si approfondisce – è tempo di abbandonare obblighi e sanzioni senza supporto scientifico.

Alberto Donzelli

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