Troppa medicina, poca cura dei pazienti

“Troppe indagini su persone che stanno bene e cure non sufficienti a chi è malato aumentano l’ineguaglianza di fronte alla salute e sprecano professionalità, danneggiano chi ha bisogno di terapie e chi non ne ha.”

Con questa citazione di Margaret McCartney(1), medico di famiglia a Glasgow (http://margaretmccartney.com/welcome/), apre un editoriale del BMJ che ricorda come si stiano incrementando i fattori di rischio, l’eccesso di diagnosi, di terapia e gli “incidentalomi”, mentre manca l’attenzione vera su chi sta male sul serio.(2) Condizioni comuni come il diabete, l’ipertensione e le malattie renali si sono allargate a dismisura, come pure i confini della malattia mentale, rendendo meno visibile chi ha veramente bisogno di attenzione: troppa medicina danneggia il sano e il malato in egual modo.

Un esempio per tutti: la mortalità per tumore alla tiroide negli USA e in Australia non è per nulla aumentata negli ultimi trent’anni, mentre il numero di casi diagnosticati è triplicato, per il perfezionamento delle tecniche diagnostiche. Un’epidemia di diagnosi, è stato detto, com’è anche il caso del cancro alla mammella ed alla prostata. Nel campo dell’ipertensione, osteoporosi, dislipidemie, obesità e turbe cognitive l’espansione delle diagnosi è stata causata dalla linea di demarcazione sempre più labile tra malato e sano. Aumentano di conseguenza i ‘trattati’, con pochi realmente ‘beneficiati’ e molti ‘danneggiati’ dagli effetti avversi, con un incremento incessante dei costi. Con l’avvento di nuove tecnologie diagnostiche e il continuo perfezionamento di quelle esistenti la sovradiagnosi continuerà ad espandersi. L’angioTAC, ad esempio, in caso di sospetta embolia polmonare, ha aumentato dell’80% la diagnosi, anche se non sarebbe stato necessario scovare molti di questi emboli.

In vista del primo congresso internazionale sulla sovradiagnosi, il BMJ ha aperto un dibattito (http://www.bmj.com/too-much-medicine) che pone tra gli altri un quesito chiave: come sono state cambiate le definizioni delle malattie e da chi? Non sempre esistono criteri certi per dover cambiare una definizione di malattia, come dimostrato dalle polemiche che hanno accolto la quinta edizione del DSM (Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders).

Cosa possiamo fare per minimizzare i danni della sovradiagnosi?
Mantenere un sano livello di scetticismo quando cambia la soglia diagnostica di una malattia o vengono proposti nuovi test diagnostici definiti ‘più sensibili’.
Operare con screening più selettivi e su popolazioni ben definite.
Non considerare le linee guida alla stregua di diktat: i medici non dovrebbero prescrivere esami e test quando non cambieranno le condizioni del loro paziente.
Spesso però è necessario avere una ‘diagnosi’ per ottenere un rimborso spese o per spiegare al paziente l’obiettivo raggiunto. In questi casi sarebbe meglio parlare in termini diversi, usando ‘aumento della pressione’ piuttosto che ‘ipertensione’, ‘ridotta densità minerale ossea’ piuttosto che ‘osteoporosi’. Andrebbe ben spiegato che i confini fra sano e malato non sono sempre così netti da garantire la necessità di test diagnostici e di terapia ad ogni costo, ma operare per una scelta condivisa in base al rapporto tra rischio e beneficio.

L’editoriale, firmato tra l’altro da Ray Moynihan (http://raymoynihan.com/) e dal capo redattore Fiona Godlee, include un box riassuntivo:

Possibile sovradiagnosi:
a. quando aumenta l’incidenza di una malattia la cui mortalità rimane costante;
b. quando un fattore di rischio viene fatto percepire come malattia;
c. quando si modifica la soglia diagnostica di malattia senza evidenze certe.
Quesiti che vanno posti:
a. è un fattore di rischio o una condizione di malattia?
b. chi ha modificato la soglia diagnostica? con quale dimostrazione di reali vantaggi?
c. questo nuovo test diagnostica meglio la malattia o la individua soltanto prima? conosciamo la reale storia naturale di queste diagnosi precoci?

Libera traduzione e adattamento di Giovanni Peronato

1. McCartney M. The patient paradox: why sexed up medicine is bad for your health. Pinter and Martin, 2012
2. Glasziou P, Moynihan R, Richards T, Godlee F. Too much medicine; too little care. BMJ 2013;347:f4247