Alcuni anni or sono a un mio familiare fu prescritto un antibiotico fluorochinolonico per una infezione delle vie urinarie. Il foglietto illustrativo riportava come controindicazione affezioni tendinee e come effetto collaterale una possibile rottura del tendine di Achille. Di fatto tale rischio era presente in quel familiare. Un esame della letteratura confermava quanto riportato nel foglietto, e da altri articoli si evinceva che spesso i medici prescrittori dei fluorochinolonici sottovalutavano questi effetti. Contro il parere del medico che aveva prescritto questo tipo di antibiotico, dopo avere chiesto un altro parere, si scelse un altro antibiotico, efficace per la stessa patologia. Il medico che aveva fatto la prima prescrizione non fu contento. “Potrebbe essere – pensammo – che abbia ricevuto informazioni parziali sul farmaco in questione?” Alcune settimane più tardi, si era nel 2018, l’AIFA comunicava la decisione dell’EMA di sospendere l’autorizzazione all’immissione in commercio dei fluorochinolonici. Veniva inoltre ristretto l’ambito prescrittivo di questa classe di antibiotici. Mesi appresso, un amico che aveva assunto numerosi cicli di fluorochinolonici dovette essere operato per la sostituzione di una corda tendinea cardiaca che si presentava lesionata. A torto o a ragione, venne spontaneo associare questo fatto all’azione di quella classe di antibiotici. Sempre di tendini si trattava, in fondo.
Troyan Brennan, professore a contratto presso la Harvard Chan School of Public Health, in un suo recente articolo sul NEJM,[1] afferma che non ha più senso che le ditte farmaceutiche effettuino operazioni di marketing dirette ai medici prescrittori, dato che la Food and Drug Administration e le riviste scientifiche permettono al medico di documentarsi approfonditamente e in modo aggiornato. Brennan giunge alla sua conclusione dopo una stima delle cifre che le ditte spendono in marketing, che sono spesso dissimulate in retribuzioni per consulenze o per relazioni presentate da medici considerati esperti del particolare settore per cui la ditta produce un dato farmaco. Brennan prende spunto da una sentenza emessa da un giudice federale nei confronti della ditta Biogen Idec, produttrice di farmaci specialistici per la sclerosi multipla. Parliamo dell’interferon beta-1a, del natalizumab e del dimetil fumarato. Si tratta di farmaci molto costosi – un anno di cura può costare anche più di 50.000 dollari – per cui riuscire a convincere un numero maggiore di medici a prescriverli può significare un introito aggiuntivo molto importante per la ditta.
Nel caso di Biogen, un gruppo di dipendenti che supervisionavano le operazioni di marketing della loro ditta agì da whistleblower (spifferatori), denunciando di fatto la loro stessa ditta per operazioni che potevano costituire una violazione del False Claims Act (FCA, la legge USA sulle false affermazioni), in relazione alla violazione dell’Anti-Kickback Statute. Quest’ultima è una legge federale statunitense contro pratiche corruttive, attuate mediante incentivi economici, che esitano in frode verso il governo federale. Il giudice in questione, dopo anni di raccolta di testimonianze dagli ex impiegati denuncianti, nello scorso mese di settembre ha stabilito che la violazione di questo statuto violava l’FCA, riguardante le prescrizioni improprie o fraudolente. Biogen ha scelto di patteggiare un risarcimento di 900 milioni di dollari, che rappresenta quasi il 60% dell’introito netto per l’anno 2021 della ditta. Biogen comunicava di avere accettato questo patteggiamento per evitare l’effetto di “distrazione” indotto dalla causa in atto, rifiutando di ammettere sue colpe. Il risarcimento riguardava i danni economici causati al governo federale e a Medicare. Una parte del risarcimento stesso fu destinato ai whistleblowers, come previsto dal FCA, che protegge e incentiva chi segnala una frode a danno del governo federale USA.
Emerse che i medici che avevano prestato la loro opera a Biogen come “consulenti”, pagati sia con compenso orario sia per spese di viaggio e soggiorno, di fatto non avevano fornito alla ditta dei feedback utili sulle risposte alla terapia con i farmaci in questione. Erano medici già conosciuti da Biogen come predisposti a prescrivere farmaci che apparivano come innovativi e che avrebbero probabilmente contribuito a incrementare le vendite di quei farmaci. D’altra parte, gli stessi feedback avrebbero potuto essere ottenuti da equipe interne di Biogen, costituite da specialisti, e in modo più aderente alla realtà. Inoltre, secondo i whistleblowers, i relatori stipendiati da Biogen, che erano stati formati in numero molto superiore al necessario, si trovavano spesso a presentare le loro relazioni in aule quasi vuote, e 200 di loro non avevano presentato neanche una relazione. Per contro, gli incentivi economici inducevano con ogni probabilità anche i relatori a prescrivere i farmaci per la sclerosi multipla prodotti da Biogen. Per inciso, riguardo a come le ditte sono informate sui prescrittori, uno psichiatra universitario, che seguiva un cospicuo numero di pazienti, ricevette un giorno, “in mia presenza”, la visita di un rappresentante di una ditta farmaceutica che gli disse alla fine: “dottore, lei può fare molto per aiutarci”. Il collega commentò poi, in assenza del rappresentante: “è incredibile quanto queste persone sanno della nostra attività prescrittiva”.
Nel suo articolo, Brennan aggiunge che il marketing diretto ai medici è molto mirato negli Stati Uniti: secondo i whistleblowers, su 13.000 neurologi operanti, 1200 prescrivevano il 60% dei farmaci immunomodulatori per la sclerosi multipla. Biogen sapeva chi erano questi medici, che farmaci prescrivevano e quanto erano disponibili a prescriverne di nuovi. I whistleblowers ex-dipendenti di Biogen hanno stimato che i danni provocati al governo federale e a Medicare, derivanti dagli aspetti fraudolenti delle suddette pratiche di marketing da parte della loro ditta, andavano da 1,7 e 3,3 miliardi di dollari. Brennan riferisce che nel 2016 i produttori di farmaci avevano pagato un miliardo di dollari a medici scelti per essere consulenti o relatori.[2] I denari spesi per il marketing potevano essere più utilmente adoperati per finanziare ulteriori ricerche da parte delle ditte, o anche compensare ammanchi di guadagno legati alle negoziazioni delle ditte con il governo americano, che ovviamente ha interesse a limitare eccessi di prezzo riguardo ai farmaci da immettere in commercio.
Se tutti noi medici decidessimo di aggiornarci regolarmente mediante la letteratura disponibile, quando si tratta di prescrivere farmaci, potremmo pensare di affrancarci progressivamente dalle notizie che provengono da canali non obiettivi e agire di conseguenza per tutelare meglio la salute dei pazienti e le risorse economiche disponibili per la sanità. Occorre ovviamente uno sforzo iniziale, per studiare l’inglese, dato che chiunque nel mondo voglia fare conoscere i risultati di una sua ricerca o anche una osservazione clinica importante, lo fa in lingua inglese. Brennan conclude il suo articolo scrivendo: “Sebbene in passato potrebbe esserci stata una giustificazione per il marketing diretto ai medici, oggigiorno questa pratica può essere considerata obsoleta, nella migliore delle ipotesi”.
A cura di Silvio Loddo
1. Brennan T. Pharmaceutical marketing revisited: United States v. Biogen Idec. N Eng J Med 2022;387:1631-3
2. Schwartz LM, Woloshin S. Medical marketing in the United States, 1997–2016. JAMA 2019;321:80-96