Ragionando sul vaccino anti-HPV

Negli ultimi giorni si parla moltissimo della puntata di Report del 17/04/2017 dedicata alle reazioni avverse dovute al vaccino anti papilloma virus (HPV)[1]. Proviamo a fare un po’ d’ordine e chiarezza sul tema, con alcune osservazioni di ampliamento/approfondimento rispetto alle informazioni coraggiosamente date dal servizio.

 

Il papillomavirus

Come dice il nome, è un virus che si presenta in oltre 120 genotipi diversi alcuni dei quali associati al rischio di provocare neoplasie tramite contatto sessuale.

 

La storia naturale dell’infezione è condizionata dall’equilibrio che si instaura fra ospite e agente infettante:

  • nel 70-90% dei casi d’infezione le persone si ammalano in forma asintomatica e il virus viene eliminato dall’organismo senza necessità di terapie e prima di sviluppare un effetto patogeno (regressione).
  • nel 10-30% dei casi il virus non viene eliminato e in un lasso di tempo di circa 5 anni può dare origine a lesioni precancerose in grado di evolvere, nell’arco di 20-30 anni, in cancro della cervice, della vagina, del pene, dell’ano, della faringe e della cavità orale.

 

La probabilità di progressione delle lesioni precancerose è correlata alla risposta immunitaria individuale e ad altri fattori concomitanti quali l’elevato numero di partner sessuali, il fumo di sigaretta, l’uso protratto di contraccettivi orali, e la co-infezione con altre infezioni sessualmente trasmesse.

 

La vaccinazione

Al momento sono in commercio due tipi di vaccini anti HPV, contro 2 o 4 ceppi ritenuti più altamente a rischio di dar origine a lesioni neoplastiche. Recentemente, il vaccino contro 4 ceppi è stato sostituito da un vaccino contro 9 ceppi della stessa multinazionale farmaceutica.

 

L’immunizzazione inizia nell’adolescenza perché il vaccino è più efficace se somministrato prima che il soggetto sia sessualmente attivo.

 

Al momento l’efficacia clinica del vaccino è stata valutata sulle lesioni precancerose (CIN II e CIN III), così come affermato nei comunicati dei virologi: “il vaccino anti-Hpv è dotato di un ottimo profilo di sicurezza e di una straordinaria efficacia nel ridurre in maniera drammatica l’incidenza dell’infezione da Hpv e delle lesioni precancerose nei vaccinati”. Non è quindi possibile definirlo un “vaccino salvavita”, come scritto nel comunicato di alcune società scientifiche.

 

Il tema su cui si è concentrato il servizio di Report

Il servizio di Report si è concentrato soprattutto sulla scarsa sorveglianza degli eventi avversi. Questa può effettivamente produrre sottostime (essendo su base volontaria) e non permette di attribuire o escludere con sufficiente certezza la correlazione tra i sintomi (a volte anche gravi) osservati dopo la vaccinazione e la vaccinazione stessa.

Per saperne di più sull’incidenza di eventi avversi concomitanti sarebbe necessario istituire una sorveglianza attiva totalmente indipendente dalle influenze commerciali delle ditte produttrici di vaccino (così come per qualunque altro farmaco). In realtà, purtroppo, ad oggi, l’Agenzia Europea per i Medicinali (EMA), a cui fa capo la sorveglianza sui farmaci di tutti i paesi europei, è finanziata per più dell’80% dall’industria del farmaco.

I dubbi in merito alla vaccinazione anti HPV

Non si sa quale sia l’efficacia della vaccinazione sulla riduzione effettiva dei casi di tumore e delle morti ad esso correlate (il vero risultato atteso): il raggiungimento di tale obiettivo si potrà valutare solo tra alcuni decenni, tenendo conto della lunga latenza tra l’infezione e l’eventuale insorgenza del tumore (20-30 anni).

  • Servono studi indipendenti che mettano a confronto esposti e non esposti alla vaccinazione ed i rispettivi esiti di salute.
  • Il rischio della comparsa di una nicchia ecologica con il prevalere nel tempo di altri ceppi oncogeni diversi da quelli contenuti nel vaccino (se ne conoscono circa 15, il vaccino protegge da 2, 4 o 9 ceppi soltanto), che potrebbero diventare altrettanto pericolosi.
  • Poiché il vaccino contro l’HPV non previene l’infezione da tutti i tipi di HPV, l’esecuzione del pap test deve comunque essere garantita e, al momento si è rivelata altamente efficace nel ridurre di oltre il 90% la mortalità per tumore del collo dell’utero. I servizi di base dedicati alla prevenzione secondaria ancor oggi non sono uniformemente diffusi sul territorio nazionale creando forti disuguaglianze di accesso. L’allocazione delle risorse dovrebbe prevedere una vera capillarità dell’offerta.
  • La protezione vaccinale offerta riguarda solo 2, 4 o 9 ceppi di HPV: è necessario continuare a fare formazione ed informazione in merito agli stili di vita, soprattutto per evitare che i soggetti vaccinati, considerandosi protetti, non facciano più abbastanza attenzione a prevenzione non immunitaria (uso del preservativo) con il rischio di gravidanze indesiderate e di contrarre altre importanti malattie sessualmente trasmissibili. Investire in educazione sessuale nelle scuole e in consultori per i giovani, diffusi capillarmente sul territorio nazionale, è e resta una priorità. È necessario inoltre evitare che si riduca l’adesione al pap-test, dove questa è alta, e fare in modo che aumenti, dove è bassa.

 

[1] http://www.report.rai.it/dl/Report/puntata/ContentItem-3130cc7a-9973-49e5-99ce-71eb96d3113e.html