Interazioni tra non medici e industria

Una recente revisione sistematica analizza il tipo e le implicazioni delle interazioni tra professionisti non-medici e industria nella pratica clinica.(1) L’articolo e il relativo editoriale, giustamente intitolato “stessa canzone, diverso pubblico”,(2) sono liberamente scaricabili dal sito di Plos Medicine e il lettore interessato potrà leggerli in versione originale, compresi i dettagli metodologici. La revisione della letteratura riguarda il periodo dal 1946 a giugno 2013 e sono stati inclusi articoli riguardanti le interazioni dell’industria con i professionisti non-medici: infermieri, professionisti con competenza prescrittiva (infermieri prescrittori, infermieri specialisti, ostetriche, infermieri di anestesia), assistenti-medico, farmacisti, dietisti, fisioterapisti e terapisti occupazionali.

Sono stati esclusi gli studenti. L’esposizione dei professionisti all’industria è stata definita come partecipazione a incontri con i rappresentanti dell’industria, ricezione di regali, pagamenti o materiali promozionali inclusi campioni gratuiti o partecipazione a eventi formativi sponsorizzati. Dei 43 articoli iniziali, sono stati inclusi nella revisione 16 articoli, derivanti da 15 studi condotti in 4 diversi Paesi, prevalentemente USA (11), UK (2), Nuova Zelanda (1), Togo e Burkina Faso (1). Circa la metà sono stati pubblicati negli ultimi 5 anni. Nella maggior parte dei casi si tratta di studi trasversali (11), 3 sono studi non sperimentali o longitudinali, e 3 sono qualitativi, condotti con focus group o interviste semistrutturate.

 

La natura e frequenza delle interazioni con l’industria farmaceutica o le ditte produttrici di sostituti del latte materno è stata misurata attraverso l’auto rilevazione, tranne in 2 casi nei quali è stata utilizzata l’osservazione diretta. I professionisti hanno incontri regolari con i rappresentanti dell’industria farmaceutica e solo una minoranza ha eliminato tali incontri dalla propria pratica. Nel 2010, il 96% di un campione rappresentativo di professionisti non-medici con competenza prescrittiva (infermieri e ostetriche) negli Stati Uniti ha dichiarato di avere contatti regolari con i rappresentanti, la cui frequenza non è stata però precisata. In altri studi, la frequenza variava dal contatto regolare con frequenza settimanale al contatto occasionale. Il tipo di interazioni variava dagli incontri non richiesti, “di corridoio”, ai meeting strutturati. I canali comunicativi per raggiungere i prescrittori medici e non-medici nel 2009 sono stati l’email, il fax, la posta ordinaria, il marketing telefonico e la visita di cortesia. Da uno studio qualitativo inglese emerge che i rappresentanti farmaceutici sono stati per gli infermieri prescrittori la più comune, e spesso la prima, fonte di informazione sul prodotto prima della prescrizione. In una clinica per cure infermieristiche psichiatriche, nel 2004, la forma più comune di interazione è stata quella delle visite dei rappresentanti delle case farmaceutiche, che sono state in generale bene accette in ogni momento a causa del bisogno percepito di campioni gratuiti di farmaci. Per quanto riguarda il personale di un centro di salute inglese, gli incontri con i rappresentanti di aziende produttrici di latti artificiali avevano l’obiettivo principale di acquisire informazioni sul prodotto, aggiornamenti professionali e supporto per l’alimentazione infantile.

 

I regali riguardavano soprattutto oggetti, cibo o bevande, inclusi pranzi e cene ad eventi sponsorizzati. In alcuni casi, i prescrittori hanno dichiarato di aver avuto suggestione di qualche forma di compenso (cibo o regali) in cambio della prescrizione del proprio prodotto. Com’è intuibile, i professionisti meno critici sulla pratica di ricevere regali dall’industria, accettava regali con maggiore frequenza (p<0.0001). Nello studio scozzese, 7% dei professionisti riportava di aver ricevuto doni come calendari, giocattoli, pranzi, caffè e buoni dall’industria del latte artificiale, mentre in Burkina Faso il 16% del personale delle strutture coinvolte dichiarava di aver ricevuto regali simili, personali e professionali, con il marchio Nestle o Danone. I campioni gratuiti erano prevalentemente di farmaci o altri prodotti destinati ai pazienti, con l’unica eccezione dei campioni di latti formulati nei Paesi che hanno una legislazione specifica su questo argomento, in linea con il Codice Internazionale OMS sulla commercializzazione dei sostituti del latte materno. Nello studio condotto nel 2003 in Togo (legge in approvazione) e in Burkina (legge emanata), rispettivamente il 9% (1/11) e il 13% (4/32) delle strutture aveva ricevuto campioni di latte artificiale nei 6 mesi precedenti; nello studio condotto in Scozia (numerose disposizioni di legge) lo 0,1% dei medici (9/669) aveva ricevuto campioni di latte formulato o ausili per l’alimentazione infantile nei 6 mesi precedenti. Negli Stati Uniti, che all’epoca dello studio (2007) non avevano intrapreso alcuna azione legislativa di recepimento del Codice Internazionale, 86% (44/51) delle strutture nel Massachusetts distribuiva alle neomamme valigette sponsorizzate dall’industria, il cui contenuto includeva spesso campioni di latte artificiale e altri prodotti, tra cui biberon. Molte di queste strutture hanno riferito di aver ricevuto pacchi campione dalle aziende produttrici di latte artificiale, specificamente pensate per il personale dei reparti di maternità. L’uso dei campioni di farmaci sembra essere pervasivo nella pratica clinica, con una proporzione di clinici che ne riportano l’accettazione e/o l’uso, medici e non-medici, che varia dal 66% all’86%. I campioni spesso riguardavano una numero limitato e selezionato di farmaci, in generale nuovi e con nome commerciale. Nel 2011, i prescrittori delle cure primarie (medici e non medici) che lavoravano in strutture private usavano campioni in misura maggiore rispetto ai professionisti impiegati nelle cliniche del settore non-profit (94% vs 50%, p<0.01).

 

Le interazioni “formative” con l’industria sono una delle forme più comuni di interazione tra i clinici non-medici e l’industria; rispettivamente il 96% e il 100% dichiara la propria partecipazione ad eventi sponsorizzati o la ricezione di materiale formativo. L’industria ha compensato alla carenza di risorse, offrendo finanziamenti per la partecipazione a eventi e informazione specifica per la pratica clinica non medica o specifiche tipologie di pazienti. Una proporzione importante di informazione proposta dall’industria farmaceutica e destinata ai pazienti viene distribuita attraverso i professionisti. In Scozia, nei servizi territoriali con team multi professionali solo una piccola proporzione aveva ricevuto fondi per partecipare a convegni, ma il 21% aveva ricevuto informazione sponsorizzata su prodotti, allattamento e altri argomenti relativi alla genitorialità; 1/3 delle strutture aveva materiali sponsorizzati non rispondenti al Codice Internazionale visibili nelle aree destinate all’assistenza. Anche nello studio condotto in Africa Occidentale, il 16% delle strutture esponeva materiali “educativi” sponsorizzati, nessuno dei quali era in linea con il Codice.

 

L’atteggiamento dei professionisti nei confronti delle interazioni con l’industria e dell’uso dei campioni è, in generale, positivo. I rappresentanti delle aziende vengono descritti come amichevoli, socievoli, professionali e ben informati sul proprio prodotto. La metà circa di un campione rappresentativo dei farmacisti americani riferiva una percezione complessiva positiva dell’industria farmaceutica e la metà era in disaccordo con l’affermazione che i rappresentanti delle case farmaceutiche siano di poca utilità per i farmacisti. I prescrittori apprezzavano la facilità e tempestività di accesso alle informazioni su farmaci più e meno recenti e, in particolare, i campioni, le forniture e il cibo che i rappresentanti distribuivano durante le loro visite. Anche l’aspetto sociale delle interazioni con i rappresentanti è stato indicato come un vantaggio per i prescrittori. L’atteggiamento dei professionisti sembra però essere meno positivo quando le interazioni con i rappresentanti avvengono con maggiore frequenza. Alcuni professionisti descrivono invece l’industria come un “male importante” e sono scettici sulla qualità dell’informazione fornita. In uno degli studi, i prescrittori non medici si sono sentiti offesi e considerati inferiori ai medici quando i rappresentanti non hanno interagito con loro; solo il 15% dei prescrittori non-medici ha dichiarato di voler interrompere gli incontri con i rappresentanti.

 

L’accettabilità dell’interazione con l’industria dal punto di vista etico è stata analizzata in 3 studi. La percezione dell’eticità dell’interazione con l’industria si differenzia dall’atteggiamento verso tale interazione. I ricercatori hanno infatti riscontrato che, nonostante i clinici possano avere un atteggiamento positivo nei confronti dell’interazione con l’industria, possono considerarla non etica pur continuando a intrattenere questo tipo di relazione. In generale, i professionisti non medici percepivano come etica e accettabile la partecipazione a eventi sponsorizzati, in particolare se erano di formazione. Nonostante una proporzione di disaccordo, la maggioranza di due campioni randomizzati di prescrittori non medici negli USA riteneva che la pratica di offrire regali fosse etica e accettabile. In alcuni casi, i professionisti ritenevano che si dovessero porre delle condizioni esplicite, come ad esempio un limite di valore. In alcuni casi, il regalo diretto è percepito come meno accettabile rispetto alla sponsorizzazione di eventi o alla partecipazione a corsi. Dall’analisi delle risposte alle domande aperte, emerge come il ricorso al finanziamento dell’industria sia a volte l’unica risposta possibile alla significativa carenza di risorse; emerge anche una visione prevalente secondo cui, siccome i medici frequentano eventi sponsorizzati, ricevono finanziamenti e accettano regali, sia appropriato farlo anche per i professionisti sanitari non medici.

 

L’influenza dell’interazione con l’industria nella pratica clinica è percepita solo da una minoranza di professionisti, anche quando viene riconosciuto che gli studi dimostrano il contrario. Mentre l’interazione con l’industria non viene percepita come un fattore che possa influenzare la propria pratica clinica, una larga percentuale ritiene  che i colleghi non-medici, e in particolare i medici, possano invece esserne influenzati. In risposta a uno studio di caso su ipertensione e depressione, i professionisti impegnati nelle cure primarie, medici e non medici, che non disponevano di campioni gratuiti erano più inclini a seguire le linee guida cliniche evidence-based o a prescrivere l’equivalente generico.

 

Rispetto alla percezione di affidabilità dell’informazione fornita dall’industria, in termini di bias, oggettività e comprensibilità, nonostante una proporzione importante di clinici ne mettesse in dubbio l’affidabilità la maggioranza rimaneva fiducioso nella propria capacità di individuare le eventuali informazioni distorte, e quindi considerava l’informazione affidabile, di valore o utile. In un piccolo campione di convenienza in Nuova Zelanda, i prescrittori non medici sentivano di essere stati esposti a informazioni fuorvianti; in ogni caso, il 50% considerava di essere in grado di riconoscere l’informazione distorta, quando presente. Tali prescrittori si sentivano più fiduciosi nella propria abilità di individuare i possibili bias che non nell’abilità dei propri colleghi. Nello studio inglese del 2003, gli infermieri prescrittori usavano i rappresentanti come la più comune fonte di informazione sul farmaco, seguita dai colleghi. Anche in questo caso, pur riconoscendo il rischio di potenziali bias, confidavano nella propria capacità di individuarli. Nello studio scozzese i professionisti dei centri territoriali pensavano che l’informazione proveniente dall’industria dei sostituti del latte materno fosse essenziale per l’assistenza alle madri non-allattanti, che usano latte artificiale, e che questa informazione fosse importante per i professionisti per mantenersi aggiornati. Tra le critiche ai rappresentanti è emersa l’incapacità a rispondere ad alcune domande, tra cui la descrizione degli aspetti negativi dei farmaci, oltre a quelli positivi, e l’interazione tra farmaci. Tra gli ulteriori aspetti indagati, per i quali per brevità si rimanda allo studio originale, c’è la formazione dei professionisti sulla gestione delle interazioni con l’industria, l’opinione rispetto alle politiche dei servizi sanitari sulla gestione di tali interazioni e la loro regolamentazione.

 

I commenti degli autori della revisione

 

Dalla revisione emerge un quadro di clinici non-medici, infermieri, ostetriche, farmacisti, dietisti, che sono esposti con frequenza all’interazione con l’industria e in diversi modi, sia per quanto riguarda i farmaci sia per i sostituti del latte materno. È interessante notare che, nonostante la consapevolezza dei potenziali bias e conflitti d’interessi, la visione comune è che l’industria sia un “male necessario”. L’interesse delle industrie farmaceutiche per i professionisti non-medici, in particolare i prescrittori, è legato alla necessità di massimizzare i profitti aumentando il numero di prescrizioni, ma anche migliorando l’aderenza e riducendo i tempi tra la diagnosi e il trattamento. In questo senso, gli infermieri e i farmacisti sono attori-chiave in virtù del loro contatto stretto con i pazienti e del loro ruolo di coordinamento dell’assistenza. La letteratura suggerisce che la mercificazione di questa attività infermieristica da parte dell’industria farmaceutica passi attraverso un tentativo di partnership con gli infermieri per raggiungere ciò che viene presentato come un obiettivo condiviso. Un’altra leva importante nel coinvolgimento dei professionisti nell’interazione con l’industria è la disparità percepita rispetto alla categoria medica, in termini di opportunità di accesso a risorse per organizzare o partecipare a eventi formativi e congressi, elemento che sembra giustificare il ricorso alle sponsorizzazioni, “perché i medici lo fanno”.

 

In conclusione, gli autori sottolineano che, nonostante alcuni aspetti dell’interazione tra i clinici e l’industria possano essere utili, la normalizzazione di tali interazioni nei setting clinici crea i presupposti per rischi importanti per i pazienti e per il sistema sanitario. Non è pensabile che il singolo clinico debba gestire da solo le interazioni, in modo etico e individuando possibili bias. Gli studi di scienze sociali dimostrano che il self-serving bias (bias di autocompiacimento), come altri bias inconsci, rendono difficile per il professionista riconoscere l’effetto che l’esposizione alle interazione può avere sulle proprie azioni. Inoltre, anche i professionisti che evitano le interazioni con l’industria possono essere inconsapevoli della propria esposizione e dei suoi effetti sulla pratica ed essere soggetti alla pressione delle norme sociali.

 

Il commento di Angela Giusti e Sofia Colaceci, ostetriche, ricercatrici

 

Come sottolineato anche dagli autori, la ricerca è carente su altri ambiti come l’uso dei dispositivi medici. A questo, aggiungiamo l’area della promozione di integratori e altri prodotti cosiddetti “naturali” che, non essendo soggetti alla stessa azione regolatoria dei farmaci, sono spesso veicolati dall’industria attraverso i professionisti sanitari non-medici (ostetriche, infermieri, farmacisti) nei servizi sanitari. L’editoriale di Yeh e Kesselhheim fa delle riflessioni in parte applicabili al contesto italiano.(2)

 

Una prima considerazione riguarda gli effetti che l’interazione con l’industria, la sponsorizzazione degli eventi formativi e l’offerta di regali e campioni gratuiti hanno sulla pratica dei professionisti. Esiste ormai un effetto documentato sulle conoscenze e sul comportamento prescrittivo dei medici ed è prevedibile che lo stesso effetto si abbia sui professionisti sanitari non medici, che sono recentemente diventati oggetto delle attenzioni dell’industria per il loro ruolo-chiave nella relazione diretta con l’utenza.

 

Un secondo aspetto riguarda le forme dell’interazione. Mentre le forme “tradizionali” di interazione diretta tra l’industria e i professionisti sono sempre più regolamentate, esistono altre forme indirette, più difficilmente individuabili. A titolo di esempio, la formazione ECM in Italia proibisce il ricorso a finanziamenti che provengano direttamente da aziende produttrici di sostituti del latte materno, ma non c’è modo di sapere se un’azienda abbia ricorso alla triangolazione attraverso un attore esterno per sostenere finanziariamente un evento. Sappiamo, aneddoticamente, che esistono aziende e provider ECM che propongono attivamente le sponsorizzazioni, sia per eventi sia per la partecipazione dei singoli professionisti. La formazione ECM ha raggiunto costi di accreditamento che rendono sempre più difficile l’offerta gratuita, pubblica e indipendente di formazione. Basti pensare che l’accreditamento di un corso multi professionale di 40 ore ad alta interazione può avere costi che vanno dai 1000 ai 2000 euro, tra spese di provider (se l’azienda pubblica non lo è) e accreditamento tramite l’Agenas. Per rispondere al bisogno emergente di finanziamenti per la formazione evitando l’interazione diretta con le aziende pubbliche, società scientifiche, ordini, collegi e associazioni professionali, l’industria ricorre spesso a enti terzi. Questo fenomeno di triangolazione si applica anche ad altri ambiti che, pur non essendo di pertinenza “sanitaria”, hanno effetti sulla salute pubblica. Capita di imbattersi in pubblicità di “compro oro” esposte negli ospedali e gigantografie di alcolici davanti alle facciate di chiese in ristrutturazione (prontamente sostituite da pubblicità di orologi dopo la protesta dei cittadini). Anche le istituzioni più attente a volte, affidandosi a provider esterni, perdono il controllo sulle sponsorizzazioni che verranno accettate. È capitato di trovare pubblicità di note aziende produttrici di biberon e tettarelle in congressi dichiarati “in osservanza del Codice Internazionale”.

 

Un altro aspetto rilevante ma poco documentato dell’interazione tra professionisti non-medici e industria riguarda la ricerca di “promoter”. Il professionista del servizio pubblico può essere contattato dall’azienda privata e, in cambio di doni, finanziamenti per l’organizzazione o per la partecipazione a eventi, si impegna a promuovere i prodotti dell’azienda. Tale promozione può avvenire sia attraverso l’affissione di calendari, la distribuzione di riviste a scopo pubblicitario o la promozione diretta durante gli incontri con l’utenza. In questi casi, le aziende effettuano un monitoraggio attraverso indicatori di vendita nella zona interessata. Queste pratiche sono normali laddove il ruolo di promoter costituisce l’attività lavorativa di un professionista sanitario che non sia un pubblico dipendente e non ricopra cariche istituzionali. Non è raro, infatti, imbattersi in offerte di lavoro per ostetrica promoter, figura che ha la funzione di presidiare ospedali, consultori e studi pediatrici per divulgare informazioni scientifiche per note marche di prodotti per l’infanzia e di promuoverli ai consumatori “puntando alla fidelizzazione dei clienti”. Queste strategie di mercato non sono utilizzate solo da ditte produttrici di sostituti del latte materno, ma si estendono anche alle banche private per la conservazione del sangue cordonale ad uso autologo. Oggi, il lavoro di promoter è spesso l’unica alternativa per i giovani e le giovani laureate delle professioni sanitarie in un mercato del lavoro stagnante.

 

Un ultimo aspetto riguarda l’oggetto dell’interazione con l’industria. I professionisti non medici sono un target d’interesse per le aziende produttrici di materiale di vario tipo. Nel caso delle ostetriche, che si occupano della salute della donna in tutto l’arco della vita, i prodotti più frequentemente veicolati, attraverso campioni gratuiti, materiale informativo/pubblicitario e partecipazione a eventi, sono prodotti igienici per la donna e per la prima infanzia, integratori per la gravidanza, per l’allattamento e per la menopausa e galattagoghi, sui quali non esiste lo stesso rigore regolatorio dei farmaci e dei sostituti del latte materno.

 

Due sono, a nostro avviso, i fronti su cui è necessario intraprendere azioni urgenti: il primo è quello della formazione obbligatoria nell’ambito dell’ECM, che dovrebbe essere tutelata e garantita nella sua forma pubblica e indipendente per tutte le professioni sanitarie, mediche e non mediche. La seconda è l’azione diretta degli Ordini e Collegi professionali, delle Associazioni di categoria e delle Società scientifiche, che dovrebbero impegnarsi esplicitamente nell’adozione di politiche trasparenti rispetto alle sponsorizzazioni, a qualsiasi livello e, in particolare, per gli eventi formativi diretti ai propri iscritti. In questa direzione si stanno muovendo diverse istituzioni ostetriche, come il Collegio Provinciale delle Ostetriche di Roma, che nell’ottobre del 2012 ha deliberato che “per l’organizzazione di eventi formativi/culturali, non accetterà né utilizzerà contributi di alcun genere da sponsor che non rispettino il Codice Internazionale sulla Commercializzazione dei Sostituti del Latte Materno e le successive pertinenti risoluzioni dell’Assemblea Mondiale della Sanità”. Anche la Federazione Nazionale dei Collegi delle Ostetriche nel maggio del 2013 ha approvato le Linee guida per la concessione di patrocinio, secondo cui “non verranno concessi patrocini che avallino, in qualche modo, pubblicità per istituzioni e prodotti sanitari e commerciali di esclusivo interesse promozionale e che siano in contrasto con il Codice Internazionale sulla Commercializzazione dei Sostituti del Latte Materno (OMS/UNICEF)”. Anche l’Associazione Culturale Pediatri ha eliminato “qualsiasi tipologia di legame di sponsorizzazione delle proprie attività con l’industria per l’organizzazione di congressi, dei corsi di formazione e per qualsiasi tipo di intervento in ambito socio-sanitario”. Si tratta di esempi di buone pratiche di cui siamo a conoscenza. Sarebbe interessante approfondire l’analisi e verificare quali siano oggi, in Italia, le forme di regolamentazione dell’interazione tra industria e professionisti sanitari messe in atto dagli enti professionali, quale ne sia l’applicazione e la percezione dei professionisti e dei cittadini.

 

1. Grundy Q, Bero L, Malone R. Interactions between non-physician clinicians and industry: a systematic review. http://www.plosmedicine.org/article/info%3Adoi%2F10.1371%2Fjournal.pmed.1001561

2. Yeh JS, Kesselheim AS. Same song, different audience: pharmaceutical promotion targeting non-physician health care providers. http://www.plosmedicine.org/article/info%3Adoi%2F10.1371%2Fjournal.pmed.1001560