Infermieri e industria del farmaco: rapporti sempre più stretti

AbbVie, un’azienda farmaceutica di buone dimensioni (presente in 170 paesi, conta 28.000 dipendenti) è finita sul banco degli imputati, accusata di usare una fitta rete di infermieri per promuovere Humira, un farmaco utilizzato contro l’artrite reumatoide.

 

Secondo l’accusa di Dave Jones, commissario assicurativo della California,[1] l’azienda denunciata si è impegnata in una pratica “tra le più nefande” in cui gli infermieri sono stati assunti come “ambasciatori” per visitare i pazienti a casa loro, per insegnare e aiutare nella somministrazione del farmaco, ma soprattutto per garantire la fidelizzazione a quel farmaco, rinnovare la prescrizione anche oltre il necessario, aiutarli nelle richieste di rimborso alle assicurazioni e garantire la continuazione della somministrazione nel tempo, segnalare alla ditta i problemi, sminuire i pesanti effetti collaterali, ecc. Nulla di male? No, se non per il fatto che pagare direttamente o indirettamente gli operatori sanitari per prescrivere un farmaco (in California) è illegale, e per buone ragioni: le prescrizioni inutili fanno pagare ai contribuenti premi assicurativi più alti, riducono le risorse dagli assicuratori e contravvengono a importanti leggi governative. Questa non è la prima volta che un’industria farmaceutica assolda infermieri per promuovere in modo improprio i propri farmaci. Nell’ultimo anno, almeno altri quattro produttori di farmaci (Gilead Sciences, Amgen, Eli Lilly e Bayer Pharmaceuticals) hanno assunto infermiere per parlare di trattamenti ai medici e ai loro pazienti, violando leggi federali sulle frodi in sanità, con uno strascico di cause legali.

I rapporti sempre più stretti tra industrie del farmaco e infermieri sono un tema relativamente recente: le industrie sfruttano (a loro favore) la particolare relazione che si instaura tra infermieri e pazienti per veicolare interessi commerciali.[2] Se oltreoceano si inizia a rilevare il fenomeno, domandandosi come e perché le industrie si rivolgono agli infermieri, in Italia tutto tace: il tema del CdI è sconosciuto, lontano anni luce dalla minima consapevolezza. Se per caso mi succede di rivolgermi a un collega chiedendo cosa ne pensa al riguardo, egli gira la testa pensando che mi rivolga a una terza persona o mi risponde che non è un medico! Nei corsi di etica e bioetica universitari del corso di infermieristica il tema del CdI non è oggetto di trattazione, così come nei corsi di aggiornamento e formazione; mancano ovviamente le capacità di affrontare il marketing (una medicina ipertecnologica si presenterà sempre più persuasiva nei confronti, anche, degli infermieri); mancano gli strumenti di analisi critica per leggere tra le righe degli studi sponsorizzati; mancano capacità relazionali in grado di fronteggiare le tecniche commerciali dei rappresentanti. L’assenza di questo tema è ben rappresentato anche nella normativa di riferimento: nell’attuale codice deontologico,[3] viene relegato in 4 righe sottotono e generiche al punto 17. Nell’attuale bozza di revisione, che è ferma oramai da tempo,[4] questo aspetto, al momento, è addirittura scomparso. Stessa mancanza nel codice deontologico del Consiglio Internazionale degli Infermieri del 2012.[5] Anche a livello europeo il tema in questione non è mai stato oggetto del meeting annuale della Nurse Ethic Conference.

Non so se non se ne discuta per analfabetismo o forse per inconsapevole (?) scelta. Che gli infermieri siano coinvolti in modo diverso dai medici, ma non per questo con minor responsabilità, in imbarazzanti situazioni di CdI è noto anche qua: mi basta citare ambiti come le cure perinatali e la diabetologia; cito con ampia possibilità di riscontro un settore a me ben conosciuto come quello della cura del paziente con ulcere croniche. In questo ambito inizia (coraggiosamente) ad esserci anche qualche studio.[6] Nel wound care, spesso a quasi completa gestione infermieristica, la ricerca clinica e la formazione specialistica (anche universitaria) è in mano alle aziende, che tramite i loro clinical specialist, opinion leader e ghost writer organizzano i temi delle agende congressuali garantendo il tutto esaurito e suggeriscono le scelte commerciali negli ambulatori e nelle corsie. Non ci vorrebbe molto a capirlo, almeno per liberarsi da quella timidezza che fa pensare che a molti l’attuale stato delle cose vada bene così.

A cura di Alberto Apostoli

[1] The State of California, California Insurance Commissioner Case n° RG18893169. State of California’s superseding complaint for civil penalties assessment, injuction and other relief. http://freepdfhosting.com/b5df128a57.pdf

[2] Grundy Q, Bero LA, Malone RE. Marketing and the most trusted profession: the invisible interactions between registered nurses and industry. Ann Intern Med 2016 April 5 doi: 10.7326/M15-2522

[3] Ipasvi, F. N. C. (2009). Codice deontologico dell’infermiere. http://www. ipasvi. it/norme-e-codici/deontologia/il-codice-deonto

[4] Prima stesura del Codice deontologico dell’infermiere (IPASVI, 2016) http://www.fnopi.it/archivio_news/attualita/1965/Codice%20Deontologico%20infermieri%202016.pdf

[5] Il codice deontologico degli infermieri del consiglio internazionale degli infermieri (ICN). (2012) http://www.fnopi.it/archivio_news/attualita/1965/Codice%20Deontologico%20infermieri%202016.pdf

[6] Panfil EM, Zima K, Lins S, Koepke S, Langer G, Meyer G. Conflitto di interessi con l’industria: un sondaggio di infermieri nel campo della cura delle ferite in Germania, Australia e Svizzera. Pflege 2014;27(3):191-9