Formare gli studenti di medicina sul CdI

Wayne DB, Green M, Neilson EG. Teaching Medical Students About Conflicts of Interest. JAMA 2017;317:1733-4
Un ethos di lunga data circonda la pratica della medicina. In quell’ethos i medici non possono attingere i loro obiettivi di guarigione senza mostrare un elevato livello di professionalità nei confronti dei pazienti. Fa parte del contratto sociale della medicina, un contratto attraverso il quale il controllo da parte dell’opinione pubblica dice ai medici quanto bene stanno facendo e quanto bene sono stati formati.

 

Gli insegnanti di medicina credono ancora che l’accurata selezione degli studenti massimizzi la probabilità che i nuovi allievi, oltre ad acquisire conoscenze e competenze mediche, possano comprendere e adottare i tradizionali valori della professione. Si pensa che gli studenti che nutrono un certo senso di responsabilità sociale siano più propensi ad abbracciare questi valori, soprattutto se condivisi da pari che la pensano allo stesso modo. Tali principi includono il mettersi al servizio, la competenza, l’altruismo, l’integrità, la promozione del bene pubblico, la trasparenza e la responsabilità.

Gli insegnanti hanno avuto a lungo difficoltà a trovare il modo migliore per trasmettere i canoni della professione. Se i membri delle facoltà che danno forma al curriculum non condividono un’idea comune di questi valori, gli studenti e gli specializzandi forgeranno le proprie credenze in base a esperienze limitate. Poiché gli specializzandi sono un modello per gli studenti ed entrambi passano rapidamente per le sedi di formazione, le scuole di medicina non hanno altra scelta che lavorare insistentemente sulla cultura, nella speranza di rafforzare un messaggio professionale durante tutta la formazione.

La crescente complessità degli attuali servizi sanitari mette ogni giorno alla prova questa professionalità. Nell’ultimo decennio, l’uso diffuso di registri elettronici, la segnalazione di adesione del medico a standard di qualità in un contesto di espansione delle conoscenze mediche, l’aumento della spesa sanitaria e una crescente enfasi sulla sicurezza dei pazienti hanno reso la pratica quotidiana più frenetica. La ricerca sponsorizzata dall’industria è aumentata in maniera simile, con le implicazioni riguardanti la traduzione dei risultati in pratica clinica. Inoltre, oggi i pazienti hanno accesso a una vasta gamma di informazioni sulla salute e sono regolarmente esposti alla pubblicità di nuovi e spesso costosi trattamenti.

I medici non nascono comprendendo le tradizioni o le aspettative della professione. Non nascono conoscendo, ad esempio, le aspettative riguardanti la dichiarazione di CdI. La prima esposizione a queste nozioni si verifica idealmente nella scuola di medicina, con concetti quali le categorie di CdI da segnalare e come risolverli o gestirli. Questi concetti devono essere insegnati partendo dalle osservazioni dei fallimenti passati per arrivare questioni dimostrabili di circostanze presenti, fino alle problematiche future ancora in agguato. È un alternarsi di mutevoli aspettative che sorgono dall’interno della società. I valori professionali incorporati nella cultura delle scuole di medicina sono spesso i primi a dover essere messi alla prova dalle richieste di cambiamento.

Formare studenti e specializzandi sui CdI significa fornirli di abilità per tutta la vita, in modo che possano adattarsi alle mutevoli circostanze. Tutti gli elementi del curriculum, compresa l’anamnesi e l’esame fisico, le comunicazioni su argomenti sensibili e le attività di ricerca, sono accompagnati da aspettative di professionalità. Oltre a formare studenti che possano valutare criticamente e assimilare nuove evidenze in diagnosi e terapia, le scuole di medicina devono infondere sensibilità e atteggiamenti professionali che consentano ai laureati di lavorare efficacemente con interessi esterni, mantenendo la fiducia del pubblico nel rapporto medico/paziente.

Anche se i pazienti e la società spesso traggono beneficio dalla collaborazione tra medici ed enti commerciali, gli obiettivi della medicina e dell’industria non sono sempre gli stessi; per la prima è il garantire la salute, per la seconda massimizzare il valore per gli azionisti. Il pubblico teme giustamente che i legami con l’industria possano influenzare in modo eccessivo il comportamento dei medici nella cura dei pazienti o nella progettazione e comunicazione della ricerca. Le politiche riguardanti i rapporti commerciali dei centri accademici sono sorvegliate con la speranza che diventino sempre più rigorose. Nel 2007, l’American Medical Student Association (AMSA) ha sviluppato, come fonte di pressione, delle schede di valutazione sui CdI per le scuole di medicina per determinare le loro politiche nei confronti dei regali e dei pasti sponsorizzati dall’industria, dei programmi educativi e delle relazioni esterne.

Gli studenti incontrano potenziali CdI in quasi tutti gli aspetti della loro formazione. Completano un curriculum formale composto da esperienze didattiche e cliniche in aule, centri di simulazione, reparti ospedalieri e ambulatori. Queste esperienze condividono obiettivi di apprendimento comuni, ma sono intrinsecamente diverse in quanto gli studenti sono esposti a nuovi siti e supervisori. Negli anni preclinici, i docenti che ricevono finanziamenti per la ricerca o che fungono da consulenti per l’industria possono fare lezioni o servire da facilitatori di piccoli gruppi. Gli studenti possono uscire da una sessione didattica sui potenziali pericoli dell’influenza commerciale e assistere subito dopo alla normalità degli incontri tra docenti e industria. Durante le pratiche cliniche, gli studenti a volte osservano i rappresentanti di dispositivi medici dimostrare nuove attrezzature in sale operatorie o in radiologia, ricevono insegnamento da medici finanziati dall’industria, o accettano inviti a frequentare conferenze o seminari sponsorizzati. Inoltre, il curriculum informale o nascosto, comprese le conversazioni di corridoio, gli eventi sociali e i potenziali contatti con i rappresentanti, può minacciare la cultura insegnata nel curriculum formale.

Un’inchiesta nazionale tra 1610 studenti di medicina, pubblicata nel 2013, che ha valutato la frequenza delle interazioni con l’industria farmaceutica e come queste interazioni influenzano il comportamento professionale, ha rivelato che quasi il 17% dei 721 studenti del primo anno e il 40% dei 759 del quarto anno ha frequentato lezioni sponsorizzate dall’industria. Nonostante le linee guida sviluppate dall’industria farmaceutica vietino i regali non educativi agli operatori sanitari, il 7% degli studenti del primo anno e il 57% degli studenti del quarto anno segnalavano di aver ricevuto regali dall’industria, compresi pasti al di fuori del campus. Anche se molti tra gli intervistati trovavano le interazioni con l’industria farmaceutica inutili, un numero limitato riteneva che le relazioni industriali portino a bias o minaccino la fiducia del pubblico. C’è una chiara dissonanza cognitiva in questi messaggi, e forse un sentire che la separazione tra dichiarazione di CdI e conflitti reali non sembra abbastanza importante da essere presa sul serio. Se è vero, è necessario lavorare di più per preparare il presente per il futuro.

Le politiche istituzionali che isolano gli studenti dai rapporti con l’industria e il governo sono insufficienti a formarli per un’esposizione futura. I curricula scolastici, invece, dovrebbero educare gli studenti su queste potenziali influenze, sui bias e le loro conseguenze, nonché su come identificare, valutare e gestire i potenziali CdI. Le scuole di medicina sono l’ambiente ideale per sviluppare competenze permanente in questo campo perché operano in un ampio spettro di rischi e opportunità.

Le politiche sui CdI dei centri medici accademici sono in giro da tempo. Una teoria a giustificazione della pubblica dichiarazione di CdI è che i medici si comporteranno diversamente quando saranno osservati. L’obiettivo di queste politiche è mantenere un alto livello di comportamento promuovendo una cultura che rafforzi la fiducia del pubblico. Eppure, allo stesso tempo, l’intento di queste politiche è guidare, non proibire, i rapporti con enti commerciali che potrebbero favorire la ricerca. Sebbene siano necessarie delle proscrizioni contro alcune attività, come i regali a studenti e docenti, il ghost writing o l’uso di presentazioni create dall’industria, queste politiche da sole sono insufficienti a creare credenze condivise che riducano al minimo il rischio di CdI.

Qualsiasi tentativo di iniziare un processo di trasformazione comincia con l’istruzione obbligatoria degli studenti, compresi i contenuti didattici e le discussioni su argomenti come la dichiarazione di CdI, come evitare CdI reali o percepiti, la gestione delle interazioni con i rappresentanti delle ditte di farmaci e di dispositivi, e la proibizione dei regali. Le scuole di medicina dovrebbero richiedere che i docenti divulghino le loro relazioni in tempo reale e promuovano la trasparenza fornendo queste informazioni su siti web accessibili al pubblico. Le lezioni e i seminari dovrebbero avere le stesse politiche dei corsi ECM. Oltre a questi requisiti, gli studenti dovrebbero valutare anche specializzandi e docenti alla fine delle rotazioni in merito a eventuali CdI incontrati durante le attività didattiche in classe o in clinica. Infine, in riconoscimento dell’importante ruolo che specializzandi e docenti svolgono nell’insegnamento, le scuole di medicina dovrebbero richiedere che tutto il personale riceva un’adeguata formazione in questo campo.

Sebbene queste raccomandazioni non siano controverse, la loro messa in pratica può causare scoraggiamento o essere limitata dall’inerzia. È ora di guardare con un occhio diverso gli esercizi miranti a costruire una cultura che rafforzi il rispetto delle politiche istituzionali in materia di CdI, esercizi che favoriscono le abilità di sopravvivenza, i comportamenti e gli atteggiamenti degli studenti e degli specializzandi. Coloro che praticano o insegnano nelle scuole di medicina hanno l’onere di guidare con il loro esempio. É in gioco la fiducia pubblica.

A cura di Adriano Cattaneo