Conflitti d’interesse non finanziari: arma di distrazione di massa

Sembra esserci, negli ultimi tempi, un’attenzione (sospetta?) nei confronti dei conflitti d’interesse non finanziari. Nella nostra lettera 44 del gennaio 2017 abbiamo riferito di una proposta di modifica del regolamento della Food and Drug Administration (FDA) negli USA che permetterebbe all’agenzia di ricusare o escludere in modo arbitrario la partecipazione alle votazioni su farmaci o medical devices a professionisti ritenuti a rischio di conflitto di interesse “intellettuale”, anche se completamente indipendenti dal punto di vista finanziario dalle industrie.(1)

 

 

Nella lettera 36 del gennaio 2016 abbiamo pubblicato una critica a tre articoli del New England Journal of Medicine che rimettevano in discussione le definizioni di conflitto d’interessi togliendo peso ai conflitti finanziari a favore di quelli non finanziari.(2-4) Benvenuto quindi l’articolo pubblicato da Lisa Bero e Quinn Grundy su PloS Biology che riassumiamo qui sotto e che ricolloca i conflitti d’interesse finanziari al centro dell’attenzione.(5)

L’articolo inizia con l’identificazione dei conflitti d’interesse non finanziari. Eccone degli esempi: credenze personali, religiose o politiche; esperienze personali; posizioni prese in precedenza su vari argomenti; impegni intellettuali, teorici o di scuole di pensiero; formazione professionale o istruzione accademica; rivalità o competizione accademica; promozioni o avanzamenti di carriera; desiderio e ricerca di gloria o fama; posizione dominante o esperienza personale nell’ambito di ricerca; relazioni personali con qualcuno con la malattia o condizione studiata; autore di studi inseriti in revisioni sistematiche; espressione di opinioni o commenti sull’argomento dello studio; affiliazione professionale o accademica. Molte riviste scientifiche elencano alcuni di questi potenziali conflitti d’interesse non finanziari nelle istruzioni per la dichiarazione di conflitto d’interesse rivolte agli autori di articoli.

Ed è giusto che sia così. La scienza non è obiettiva; ogni ricercatore è influenzato dall’ambiente in cui è cresciuto e vive, dalle persone che ha frequentato e frequenta, da ciò in cui ha creduto e crede, dal modo in cui ha gestito e gestisce la sua vita, comprese le attività scientifiche. Le quali non possono essere intraprese senza un solido sistema di valori e un quadro di riferimento teorico. Ma mentre vi sono abbondanti prove sulle distorsioni causate alla ricerca scientifica dai conflitti d’interesse finanziari, scarseggiano o sono del tutto assenti quelle riguardanti i conflitti d’interesse non finanziari. Mettere assieme e trattare allo stesso modo i due tipi di conflitti d’interesse serve solo a intorbidare le acque.

I conflitti d’interesse finanziari, associati alla sponsorizzazione di una ricerca, sono generalmente molto gravi, come dimostra l’abbondante letteratura sulla ricerca finanziata da Big Tobacco, Big Food, Big Drink e Big Pharma, oltre che dall’industria chimica. Questa ricerca può anche avere una validità interna, ma il modo in cui è posta la domanda, in cui è condotto lo studio e in cui si riportano i risultati tende a favorire sistematicamente lo sponsor. Ci pensa poi il potente apparato di marketing e pubbliche relazioni dell’industria a diffondere ed amplificare questi risultati distorti in modo che raggiungano politici, decisori, comunicatori, operatori e pubblico in generale.

Anche i conflitti d’interesse non finanziari possono distorcere la ricerca. Ma molti scienziati sociali, e il movimento femminista, affermano che la scienza non può essere neutra, che deve prendere posizione. Alcuni pensano che si possa essere obiettivi anche prendendo posizione, purché questa sia trasparentemente dichiarata. Alcuni scienziati sociali parlano addirittura di un “distacco appassionato” per definire questo atteggiamento nei confronti della ricerca. La lettura di questa sezione dell’articolo mi ha fatto pensare ad un’esperienza personale. Da appassionato ricercatore sulla protezione dell’allattamento, anni fa avevo inviato un mio manoscritto per pubblicazione alla rivista Pediatrics. Uno dei peer reviewers, pur riconoscendo la validità dello studio e l’accuratezza nel riportarne i risultati, ne sconsigliò la pubblicazione a causa di un mio presunto conflitto d’interessi: difendevo troppo l’allattamento. Mi sembra un buon esempio della differenza che bisognerebbe fare tra un interesse lecito (la protezione dell’allattamento) e un conflitto d’interessi (inesistente nel mio caso).

A cura di Adriano Cattaneo

  1. Lenzer J. When is a point of view a conflict of interest? BMJ 2016;355:i6194
  2. Rosenbaum L. Conflicts of interest: part 1. Reconnecting the dots–reinterpreting industry-physician relations. N Engl J Med. 2015; 372 (19):1860-4
  3. Rosenbaum L. Conflicts of interest: part 2. Understanding bias–the case for careful study. N Engl J Med. 2015; 372 (20):1959-63
  4. Rosenbaum L. Conflicts of interest: part 3. Beyond moral outrage–weighing the trade-offs of COI regulation. N Engl J Med. 2015; 372 (21):2064-8
  5. Bero LA, Grundy Q. Why having a (nonfinancial) interest is not a conflict of interest. PLoS Biol 2016;14(12):e2001221