Choosing Wisely: è tempo di bilanci?

La campagna CW, portata avanti in Italia con dedizione ed entusiasmo da SM, al suo esordio ha suscitato molte speranze, specialmente quella di sviluppare degli strumenti d’immediato uso clinico, le liste top five, che favorissero l’appropriatezza. A 10 anni dall’avvio di CW è possibile fare un bilancio?

Raccomandazioni come “foglia di fico” delle società scientifiche?

Nel 2014 avevo avuto l’opportunità di intervistare sulla campagna di CW il compianto prof. Gianfranco Domenighetti (economista, Università di Lugano), cofondatore di SM. L’intervista era avvenuta a Trieste nel contesto di una serie di incontri organizzati dal prof. Tullio Giraldi presso la Clinica Psichiatrica. Domenighetti riconosceva all’iniziativa statunitense una valenza prevalentemente politica nell’ambito della riforma sanitaria di Obama, percependo però il rischio che il coinvolgimento delle associazioni professionali mediante le liste top five favorisse la scelta di pratiche da evitare tra quelle meno rilevanti per aspetti economici, fungendo da “foglia di fico”, un modo per partecipare alla campagna senza rinunciare a fonti di reddito e senza ledere gli interessi degli associati. Nel 2019 Zadro e collaboratori hanno analizzato il contenuto di 1293 raccomandazioni di CW dal punto di vista dell’introito per i membri dell’associazione professionale che produce la lista.[1] Delle 552 raccomandazioni sui trattamenti, solo 98 (17,8%) fanno riferimento a trattamenti che generano introiti (pagamenti a prestazione, al di fuori delle abituali procedure rimborsate) e in questi casi è apparso significativamente meno frequente il riferimento alle pratiche che riguardano i membri dell’associazione (15,6%) piuttosto che gli altri (40,4%).

Conversazioni paziente-medico: obiettivo non misurabile?

CW e SM hanno investito sulla comunicazione, considerandola l’antidoto naturale all’uso eccessivo di esami e farmaci che diventano i sostituti di una relazione medico-paziente insoddisfacente, e ritenendo che l’informazione corretta possa collocare le procedure sanitarie nella loro realistica efficacia. Nel 2015, SM, in collaborazione con la FNOMCeO, ha raccolto le opinioni dei medici italiani su questo: [2] il 77% ha riportato che spiega al paziente perché un esame o un farmaco non siano necessari, il 54% che discute dei costi delle diverse pratiche. A fronte di una spiccata consapevolezza sull’uso eccessivo di farmaci ed esami (93% dei medici che hanno partecipato lo considera un problema importante), il 66% riporta che con adeguate informazioni, i pazienti recedono dalle loro richieste inappropriate, ma il 36% ammette di prescrivere comunque in caso d’insistenza del paziente, per maggiore sicurezza o per timore di sequele legali. Un dato di particolare interesse è che l’88% dei medici indica nella maggiore disponibilità di tempo da dedicare al paziente lo strumento più importante per ridurre le prescrizioni non necessarie.

Personalmente ho partecipato all’indagine che ha fornito un’immagine dei 3.688 medici che hanno compilato il questionario in modo completo. Ma nel 2015 quanti erano i medici italiani? Solo i medici di medicina generale erano 53.610, ben di più gli specialisti (che nel 2016 erano 185.650), senza contare i pediatri di libera scelta (17.722). [3] I dati riportati sono quindi rappresentativi di un campione “virtuoso”, che probabilmente ha partecipato perché sensibile al problema. Non sappiamo se e quanto i medici interessati a “conversare” abbiano ottenuto dei risultati rispetto ai medici di poche parole. La comunicazione può essere misurata in termini di tempo dedicato e di obiettivi raggiunti, ma presenta comunque aspetti difficili da quantificare. L’inevitabile indeterminatezza è stata essenziale e funzionale alla valenza politica della campagna originaria. [4] La raccolta delle opinioni dei medici non può sostituire i dati sull’efficacia del loro operato, e la consapevolezza di una minoranza non è apparsa trascinante nella mia esperienza in Italia.

Raccomandazioni con quale forza?

Come Cochrane Neurological Sciences ho contribuito nel 2014 a due liste top five, [5] e nella mia attività clinica ho distribuito per anni la copia cartacea, specialmente di quella dedicata alla transitoria perdita di coscienza, volta a evitare EEG, Eco-Doppler TSA ed esami neuroradiologici in presenza di anamnesi esplicativa. La composizione delle liste, per quanto mi ha riguardata, è partita dall’osservazione clinica, seguita dalla ricerca di linee guida che offrissero risposte autorevoli e quindi motivassero il rifiuto a effettuare un certo esame. Il contenuto della raccomandazione e la sua formulazione sono stati oggetto di discussione all’interno di un piccolo gruppo di neurologi. Ma le prove su cui si basano le raccomandazioni pesano tutte alla stessa maniera o vi sono gradi diversi che andrebbero evidenziati? Per quanto la maggior parte delle raccomandazioni si basino su linee guida, la forza di queste può essere molto varia. [6] Inoltre, alcune raccomandazioni possono essere legate al buon senso o alle conoscenze accademiche, senza essere il risultato di trial. Quale valore attribuire, dunque, ai vari contesti da cui originano le raccomandazioni? Come comunicarlo a pazienti e medici senza favorire incertezza?

In occasione del convegno tenuto a Trieste da SM nel gennaio 2016 avevo rivisto le raccomandazioni secondo una classificazione che nel 1993 il Gruppo di Studio in Bioetica della Società Italiana di Neurologia aveva proposto sui vari tipi di eccesso diagnostico (riportata di seguito in corsivo). [7]

A distanza di 29 anni dall’articolo e di 6 dal convegno, a me questa distinzione sembra ancora significativa, perché gli strumenti per il cambiamento credo siano diversi per le 3 categorie identificate, non potendosi mettere sullo stesso piano un intervento volto a scardinare consuetudini prescrittive non motivate rispetto a uno che invece richieda vigilanza e aggiornamento per collocare correttamente esami di recente introduzione.

Per concludere, lo stile di CW è stato certamente quello di favorire la conversazione più che la forza degli argomenti. E questa è una rispettabile scelta di campo. Nella mia personale esperienza, l’invio al singolo collega della lista top five in occasione della richiesta di esami inappropriati apparentemente non ha modificato nulla: mai un commento, mai una discussione, neanche una critica, richieste d’indagini e visite specialistiche sempre uguali. Certamente la conversazione non si è sviluppata in questa direzione. Peccato.

Mariolina Congedo, neurologa

1. Zadro JR et al. Do Choosing Wisely recommendations about low-value care target income-generating treatments provided by members? A content analysis of 1293 recommendations. BMC Health Services Research 2019;19:707

2. Vernero S, Giustetto G. Esami diagnostici, trattamenti e procedure non necessari: risultati e considerazioni da un’indagine sui medici italiani.Recenti Prog Med 2017;108:324-32

3. https://www.infodata.ilsole24ore.com/2018/02/21/medici-italiani-quanti-oggi-quanti-saranno-fra-10-anni/

4. Rourke EJ. Ten years of Choosing Wisely to reduce low-value care. N Engl J Med 2022;386;1293-5

5. https://choosingwiselyitaly.org/raccomandazioni/

6. Admon AJ et al. Appraising the evidence supporting Choosing Wisely® recommendations. J Hosp Med 2018;13:688-91

7. Bonito V et Al. Ethical considerations regarding overinvestigation in neurology. Ital J Neurol Sci 1993;14:97-100

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