Associazioni di pazienti e industria farmaceutica: c’è un tornaconto?

Kaiser Health News (KHN) lancia “Pre$cription for Power”, un database innovativo, il primo nel suo genere, in quanto raccoglie i dati sui finanziamenti elargiti da Big Pharma alle cosiddette associazioni di difesa dei pazienti. Disponibile su internet dal prossimo mese di maggio, questo archivio elettronico attualmente copre soltanto l’anno 2015, ma verrà aggiornato appena saranno disponibili altri dati.

 

 

Le aziende farmaceutiche hanno elargito almeno 116 milioni di dollari alle associazioni di difesa dei pazienti in un solo anno, il 2015. É questo il dato sensazionale rivelato dal nuovo database “Pre$cription for Power” nel quale sono riportate 12.000 donazioni effettuate da grandi produttori di farmaci quotati in borsa a tali associazioni. Benché questi cosiddetti gruppi di difesa dei pazienti siano aumentati nel corso degli anni, sia per numero che per influenza politica, i loro finanziamenti e le loro relazioni con i produttori di farmaci rimangono poco chiari. A differenza dei pagamenti ai medici e delle spese di lobbying, le aziende farmaceutiche non hanno l’obbligo di dichiarare i pagamenti alle associazioni dei pazienti.

Il database mostra che le donazioni ai gruppi di difesa dei pazienti conteggiate per il 2015, l’ultimo anno completo in cui i documenti richiesti dall’Internal Revenue Service erano disponibili, hanno oltrepassato l’ammontare totale speso dalle aziende in attività di lobbying federale. Le 14 aziende che hanno contribuito con 116 milioni di dollari a gruppi di difesa dei pazienti, hanno dichiarato di aver speso, nello stesso anno, solo 63 milioni di dollari in attività di lobbying. Sebbene la loro missione principale consista nel richiamare l’attenzione sui bisogni dei pazienti affetti da una particolare malattia, come l’artrite, le malattie cardiache o vari tipi di tumore, alcune associazioni integrano efficacemente il lavoro svolto dai lobbisti fornendo ai pazienti l’occasione di testimoniare a Capitol Hill, sede del Parlamento USA, oppure organizzando lettere e campagne sui social media che alla fine risultano vantaggiose soprattutto per le aziende farmaceutiche.

I dati mostrano che sei aziende farmaceutiche hanno contribuito con un milione di dollari o più a singoli gruppi che rappresentano i pazienti e che fanno affidamento sui loro farmaci. Il database identifica oltre 1.200 associazioni di pazienti. Di queste, 594 hanno accettato denaro dai produttori di farmaci. I legami finanziari sono preoccupanti se spingono anche un solo gruppo di pazienti ad agire in un modo che “non rappresenta pienamente l’interesse dei suoi componenti”, ha dichiarato Matthew McCoy, professore di etica medica presso l’Università della Pennsylvania, co-autore di uno studio sul grado di influenza e trasparenza delle associazioni di difesa dei pazienti. In particolare, tali associazioni sono state piuttosto silenti o poco attive nel denunciare quella che è una preoccupazione fondamentale per i pazienti, ossia il prezzo elevato o in continua crescita dei farmaci. “Quando così tante associazioni di pazienti vengono influenzate in questo modo, ciò può spostare il nostro intero approccio alla politica sanitaria, allontanando gli interessi dei pazienti a vantaggio degli interessi dell’industria”, ha dichiarato il prof. McCoy. “Questo non è solo un problema per i pazienti e i caregivers che servono particolari organizzazioni di pazienti; questo è un problema per tutti.”

Bristol-Myers Squibb fornisce un chiaro esempio dell’importanza strategica che l’industria farmaceutica attribuisce alle cosiddette associazioni di difesa dei pazienti. Nel 2015, ha speso più di 20,5 milioni di dollari per finanziare tali associazioni, mentre ha destinato 2,9 milioni per attività di lobbying federale e meno di 1 milione per altre associazioni del settore. La società ha precisato che le sue decisioni in materia di lobbying e di contributi alle associazioni dei pazienti sono “indipendenti”. “Bristol-Myers Squibb si concentra sul sostegno di un ambiente sanitario che premia l’innovazione e garantisce l’accesso ai farmaci per i pazienti”, ha detto la portavoce Laura Hortas. “L’azienda supporta le organizzazioni di pazienti con cui condivide questo obiettivo.”

KHN ha esaminato le 20 aziende farmaceutiche incluse nell’indice “Standard & Poor 500”, che comprende le 500 aziende americane a maggiore capitalizzazione. Di queste 20 aziende farmaceutiche, 14 hanno dichiarato in maniera più o meno trasparente le somme di denaro elargite alle associazioni di pazienti. L’archivio “Pre$cription for Power” è basato su informazioni contenute nei rapporti di donazione caritatevoli estrapolati dai siti web delle case farmaceutiche e su documenti fiscali relativi alle donazioni a favore di organizzazioni non profit. Nell’archivio sono catalogati i finanziamenti che le aziende farmaceutiche hanno destinato a varie associazioni di pazienti, sia grandi che piccole. I destinatari includono gruppi ben noti, come l’American Diabetes Association, con introiti di centinaia di milioni di dollari; fondazioni di alto profilo come la “Susan G. Komen”, che si occupa di cancro della mammella; e gruppi più piccoli, meno conosciuti, come il “Caring Ambassadors Program”, che si concentra sul cancro del polmone e l’epatite C.

I dati mostrano che 15 associazioni di pazienti, con entrate annuali fino a 3,6 milioni di dollari, hanno tratto almeno il 20% delle loro entrate dall’industria farmaceutica e alcune hanno superato la soglia del 50%. L’archivio contiene solo una parte dei contributi dell’industria farmaceutica e verrà ampliato nel tempo con altre aziende e gruppi. “È chiaro che una maggiore trasparenza in questo settore è di vitale importanza”, ha dichiarato Claire McCaskill, senatrice democratica del Missouri, che sta indagando sui legami tra le cosiddette associazioni di difesa dei pazienti e i produttori di oppiacei, e sta prendendo in considerazione una modifica legislativa per rendere tracciabili i finanziamenti. “Questo database rappresenta un passo avanti in questa direzione, ma è necessario che il Parlamento emani una legge”.

I legami finanziari tra produttori di farmaci e associazioni che rappresentano coloro che usano o prescrivono i loro farmaci di maggior successo, sono stati fonte di crescente preoccupazione, di pari passo con l’aumento dei prezzi dei farmaci. Il Senato ha indagato sui conflitti di interesse nel dibattito che ha portato all’approvazione del Physician Payments Sunshine Act del 2010, una legge che impone la pubblicazione dei pagamenti ai medici da parte di produttori di farmaci e dispositivi, ma le associazioni di pazienti non sono state considerate in questa importante legge.

Alcune associazioni di pazienti, legate a gruppi commerciali, fungono da cassa di risonanza ai punti di discussione dell’industria nelle campagne sui media e nelle lettere alle agenzie sanitarie federali, e fanno ben poco altro. I pazienti, supportati dall’industria farmaceutica, vengono inviati nelle capitali dei singoli stati e a Washington per chiedere finanziamenti per la ricerca. Alcuni gruppi inviano aggiornamenti ai pazienti su nuovi farmaci e prodotti industriali. “È attraverso gruppi come questi che i pazienti spesso vengono a conoscenza di malattie e trattamenti”, ha dichiarato Rick Claypool, direttore della ricerca per Public Citizen, un’associazione di difesa dei consumatori che dichiara di non accettare finanziamenti dalle aziende farmaceutiche.

Lorren Sandt, manager del gruppo Caring Ambassadors Program, ha dichiarato che i fondi ricevuti dall’industria farmaceutica sono necessari per compensare la mancanza di finanziamenti pubblici. In base ai dati dell’Agenzia delle Entrate degli USA e alle relazioni pubblicate dalle case farmaceutiche, nel 2015 il gruppo Caring Ambassador Program ha ricevuto 413.000 dollari, la maggior parte dei quali proveniva da una azienda, AbbVie, che produce un farmaco per la cura dell’epatite C e sta testando un nuovo farmaco per il cancro ai polmoni, Rova-T, non ancora approvato . La dr.ssa Sandt ha dichiarato che il denaro non ha avuto alcuna influenza sulle priorità del Caring Ambassadors Program. “Non ci sono molte altre grandi fonti di finanziamento, oltre a quello ricevuto dalle case farmaceutiche. Perciò prendiamo il denaro lì dove possiamo trovarlo”, ha ammesso la Sandt.

Esistono altre associazioni di pazienti, come il National Women’s Health Network, la cui sede si trova a Washington DC, che fanno sacrifici pur di evitare finanziamenti dalle case farmaceutiche. Ciò significa accontentarsi di operare con un piccolo staff in un modesto edificio con poche finestre e computer obsoleti, secondo la direttrice Cindy Pearson. “Puoi vedere l’effetto del nostro approccio al finanziamento non appena entri dalla porta”. La dr.ssa Pearson precisa che è difficile per le associazioni di pazienti non subire l’influenza degli sponsor, anche se esse si proclamano indipendenti. I gruppi di pazienti “costruiscono relazioni con i loro finanziatori, si sentono in sintonia e hanno simpatia per loro. È la natura umana. Non si tratta di essere cattivi o deboli, l’errore è insito in questo tipo di relazioni”.

Beneficenza come marketing

I pazienti ai quali è stata recentemente diagnosticata una malattia spesso si rivolgono alle associazioni per un consiglio, ma il flusso di denaro verso tali associazioni può distorcere le informazioni e il dibattito pubblico sulle opzioni di trattamento, ha dichiarato la prof.ssa Adriane Fugh-Berman, direttrice di PharmedOut, un progetto della Georgetown University che promuove la medicina basata sulle prove ed è critica verso alcune pratiche di marketing farmaceutico. “[Il flusso di denaro limita] la loro azione di difesa ai prodotti di marca concorrenti, mentre la terapia migliore potrebbe essere un farmaco generico o un farmaco da banco, oppure semplicemente la dieta e l’esercizio fisico”.

La società AbbVie, che nel 2017 ha ricavato il 65% delle entrate dalla vendita di Humira, un farmaco biologico usato per curare pazienti con malattie autoimmuni tra cui il morbo di Crohn e alcuni tipi di artrite, ha donato 2,7 milioni di dollari alla Fondazione Crohn & Colitis e 1,6 milioni di dollari alla Fondazione Arthritis, secondo i dati forniti dalla società, pubblicati nel database. La spesa per la fornitura di un mese di Humira ammonta a 4.872 dollari, secondo Express Scripts, un ente americano gestore di prestazioni farmaceutiche. Anche se Humira si troverà ad affrontare la concorrenza di farmaci analoghi, chiamati biosimilari, si prevede che rimarrà il farmaco con il maggior incasso negli Stati Uniti fino al 2022, secondo gli analisti del settore farmaceutico di EvaluatePharma. Le fondazioni Arthritis e Crohn sono state in gran parte silenti riguardo al prezzo elevato di Humira, mentre hanno espresso preoccupazioni circa la sicurezza dei farmaci biosimilari. La Arthritis Foundation ha promosso alcune leggi statali che potrebbero determinare ulteriori restrizioni alla fornitura dei biosimilari nelle farmacie, favorendo perciò potenzialmente le vendite dei farmaci di marca. Gli esperti dicono che tali leggi potrebbero aiutare a proteggere la quota di mercato di Humira dai concorrenti generici.

Una coalizione di gruppi di pazienti, Patients for Biologics Safety & Access, si oppone alla sostituzione automatica di un farmaco biologico, prescritto dal medico, con un biosimilare più economico. Nel 2015 i membri di quella coalizione, tra cui la Crohn’s & Colitis Foundation, la Arthritis Foundation e la Lupus Foundation of America, hanno accettato circa 9,1 milioni di dollari da società farmaceutiche, secondo quanto riportato nel database. Nell’elenco di queste munifiche società figurano AbbVie e Johnson & Johnson, entrambe produttrici di farmaci biologici, in testa alle classifiche di vendita. La Arthritis Foundation non ha negato di aver ricevuto contributi in denaro, ma ha dichiarato che la fondazione rappresenta i pazienti, non gli sponsor. La vice-presidente Anna Hyde si è detta ottimista sulla capacità dei biosimilari di aiutare i pazienti e di farli risparmiare. ”La Fondazione sostiene gli standard scientifici della Food and Drug Administration nella valutazione della sicurezza e dell’efficacia dei biosimilari e appoggia le iniziative politiche che incoraggiano l’innovazione e promuovono un mercato competitivo”. La Fondazione Crohn & Colitis mantiene “più di un braccio di distanza” dai suoi donatori dell’industria farmaceutica, che non hanno voce in capitolo sugli obiettivi strategici della fondazione, ha dichiarato il presidente e amministratore delegato Michael Osso, il quale ha aggiunto che la posizione della fondazione sui biosimilari è “in evoluzione”.

L’amministratore delegato della Lupus Foundation, Sandra Raymond, ha dichiarato di non poter spiegare come il suo gruppo, anch’esso con sede a Washington, sia stato coinvolto nella coalizione. Ha confermato che la Lupus Foundation ha ricevuto 444.000 dollari da Pfizer nel 2015, ma ha specificato che non vi è alcuna relazione con “Patients for Biologics Safety & Access”. “Non sono mai andata ad un incontro”, ha detto la Raymond. “Un ex dipendente aveva apposto la firma della Fondazione per un’intera schiera di coalizioni.” Raymond ha poi precisato che la Lupus Foundation non fa più parte della coalizione. In effetti alcuni giorni dopo che KHN ha interpellato la coalizione, il sito web è stato aggiornato, escludendo la Lupus Foundation. Da parte sua, AbbVie, che nel 2015 risulta aver donato la somma di 24,7 milioni di dollari ad associazioni di pazienti, afferma che le sue sovvenzioni alle organizzazioni non-profit sono “non promozionali” e non forniscono alcun beneficio diretto alla sua attività. L’azienda elargisce contributi finanziari ai gruppi di pazienti perché servono come “una risorsa importante, imparziale e indipendente per pazienti e operatori sanitari”.

Insulina e influenza

L’American Diabetes Association (ADA) ha dichiarato in una e-mail a KHN di aver ricevuto 18,3 milioni di dollari in finanziamenti dall’industria farmaceutica nel 2017, pari al 12,3% delle sue entrate; due anni prima, nel 2015, aveva ricevuto una cifra maggiore, ossia 26,7 milioni di dollari. Il denaro scorreva mentre i produttori di insulina continuavano ad aumentare i prezzi in quegli anni, fino a quattro volte per certi prodotti, creando non poche difficoltà ai pazienti. Eli Lilly, l’unico dei tre grandi produttori mondiali di insulina compreso nel database, nel 2015 ha donato 2,9 milioni di dollari all’American Diabetes Association, secondo le rivelazioni dell’azienda e della sua fondazione. Sanofi e Novo Nordisk, gli altri due principali produttori mondiali di insulina, non figuravano nella graduatoria “S & P 500” e quindi non sono stati inseriti nel database. Negli ultimi 20 anni, Eli Lilly ha ripetutamente aumentato i prezzi delle sue migliori insuline, Humalog e Humulin, anche se questi farmaci sono in circolazione ormai da decenni. La casa farmaceutica ha affrontato le proteste delle persone che chiedevano di conoscere il costo di produzione di una fiala di insulina presso il suo quartier generale di Indianapolis lo scorso autunno.

L’ADA ha lanciato una campagna denunciando il prezzo “alle stelle” dell’insulina verso la fine del 2016, ma di fatto non ha citato alcun produttore di farmaci. Quando i legislatori dello stato del Nevada hanno approvato una legge lo scorso anno che richiedeva ai produttori di insulina di rivelare i loro profitti al pubblico, l’ADA è rimasta in silenzio, non ha preso posizione. L’ADA ha affermato che non intende confrontarsi con le singole aziende farmaceutiche perché cerca di agire su “tutte le entità nella catena di approvvigionamento”, produttori, grossisti, gestori delle prestazioni farmaceutiche e assicuratori. “Come organizzazione per la salute pubblica, l’impegno e l’attenzione di ADA sono focalizzati sui bisogni di oltre 30 milioni di persone affette da diabete”, ha affermato il dott. William Cefalu, il suo principale responsabile scientifico e medico. “L’ADA richiede il supporto di una serie diversificata di partner per raggiungere questo obiettivo.” Eli Lilly ha dichiarato di finanziare ADA perché con essa condivide un obiettivo comune: aiutare i pazienti diabetici. “Forniamo finanziamenti per un’ampia varietà di programmi educativi e opportunità presso l’ADA, e l’associazione progetta e implementa tali programmi con modalità che sono in linea con i suoi obiettivi”, ha scritto la Eli Lilly in una nota. “Siamo orgogliosi di sostenere ADA in un lavoro importante che aiuta milioni di persone che vivono con il diabete”. La maggior parte delle associazioni di pazienti afferma che i finanziatori hanno poca o nessuna influenza nel plasmare i loro programmi e le loro politiche, tuttavia gli accordi che hanno stipulato sono privati e inaccessibili.

Non sono stati sempre finanziati dall’industria farmaceutica

Negli anni ‘80 e all’inizio degli anni ‘90, l’attività di lobbismo dei pazienti era generalmente limitata e autofinanziata con solo uno o due pazienti ricchi di un’organizzazione che si recavano a Washington in un dato giorno, ha spiegato Diana Zuckerman, presidente del National Center for Health Research, un’associazione senza scopo di lucro. Ma il potere dei pazienti-lobbisti è diventato evidente dopo che una campagna di successo condotta da pazienti affetti da AIDS è riuscita ad ottenere provvedimenti governativi e una mobilitazione nazionale per trovare farmaci per la cura di quella che all’epoca era ancora una malattia a prognosi rapidamente infausta. La dr.ssa Zuckerman dice che non dimenticherà mai quel giorno in cui due donne visitarono il suo ufficio e le chiesero in che modo le pazienti affette da carcinoma mammario avrebbero potuto essere efficaci quanto i malati di AIDS. “All’epoca, non c’erano pazienti affette da carcinoma mammario che chiedevano denaro o altro. È difficile da credere”, ha detto. “Ricordo ancora quella conversazione, perché fu davvero un punto di svolta.”

Poco dopo, le pazienti affette da carcinoma mammario cominciarono a manifestare più spesso davanti al Parlamento USA. Sono seguiti pazienti affetti da altre malattie. Nel corso del tempo, le voci dei pazienti sono diventate una forza potente, spesso con il supporto dell’industria farmaceutica. Persino alcune organizzazioni ricche e di alto profilo prendono soldi dall’industria: ad esempio, stando a quanto reso pubblico, l’associazione Susan G. Komen ha ricevuto nel 2015 dalle case farmaceutiche la somma di ben 459.000 dollari. Alla specifica domanda riguardante i finanziamenti ricevuti dall’industria del farmaco, l’associazione ha affermato di avere avviato processi istituzionali per garantire che “nessun partner aziendale, ditte farmaceutiche o altro, decida le nostre priorità di missione”, incluso un comitato di consulenza scientifica, privo di influenza dello sponsor, che riveda il suo programma di ricerca.

Oggi, i gruppi di difesa dei pazienti ricevono finanziamenti consistenti delle aziende farmaceutiche, le quali pilotano i pazienti per testimonianze e li formano su come fare pressione in favore dei loro farmaci. La Zuckerman racconta che alcuni anni fa, mentre i gruppi crescevano di numero, iniziò a ricevere inviti via email da gruppi di difesa per partecipare ai cosiddetti giorni di lobbying sponsorizzati esplicitamente dall’industria farmaceutica. Gli sponsor spesso promettevano un addestramento e di solito la partecipazione come oratore principale in un pranzo a Washington, oltre a una potenziale borsa di studio per coprire i viaggi. Attualmente le giornate di lobbying, che coinvolgono dozzine di pazienti di un singolo gruppo, fanno parte del paesaggio. Dan Boston, presidente di Health Policy Source, ha affermato: “Sarebbe ingenuo pensare che queste persone di martedì pomeriggio si presentino per fare un giro nei luoghi XYZ”, aggiungendo che il denaro non è necessariamente una cosa negativa; esso tende a fluire verso gruppi di cittadini che hanno le stesse priorità dei loro finanziatori.

Marciare nel futuro

Le cosiddette associazioni di difesa dei pazienti hanno avuto successo in diverse campagne mirate all’approvazione di farmaci, a volte scatenando polemiche. Quando gli scienziati della FDA hanno sconsigliato l’approvazione di Exondys 51, un farmaco per il trattamento della distrofia muscolare di Duchenne, i genitori dei bambini con questo raro disordine genetico e i pazienti si sono mobilitati per fare pressione a Washington. Essi sono stati considerati cruciali per la decisione adottata dalla FDA nel 2016 di concedere l’approvazione per il farmaco, prodotto da Sarepta Therapeutics. La decisione è stata controversa, in parte perché la FDA ha osservato che i benefici clinici del farmaco, rivolto ad un sottogruppo di persone affette da distrofia muscolare di Duchenne, non erano stati ancora stabiliti. Sarepta Therapeutics, che non è presente nel database ”Pre$cription for Power”, ha messo in campo delle iniziative per supportare la sua schiera di pazienti. A marzo, ha annunciato un programma annuale di borse di studio, 10 sovvenzioni, ciascuna delle quali per un importo fino a 10.000 dollari, destinate a studenti affetti da distrofia muscolare di Duchenne, per l’iscrizione a università o scuole commerciali. Sarepta Therapeutics è anche tra i finanziatori di Parent Project Muscular Dystrophy, un gruppo di difesa dei pazienti in prima linea nella campagna per l’approvazione di Exondys 51.

Il database “Pre$cription for Power” crescerà per includere nuove informazioni e rivelazioni. Non tutti i produttori di farmaci sono disposti a rivelare le loro donazioni aziendali. Undici delle 20 società esaminate (Allergan, Baxter International, Biogen, Celgene, Endo International, Gilead Sciences, Mallinckrodt, Mylan, Perrigo Co., Regeneron Pharmaceuticals e Vertex Pharmaceuticals), hanno rifiutato di rivelare i finanziamenti elargiti o non hanno risposto alle ripetute chiamate. Paul Thacker, un ex investigatore del senatore repubblicano Chuck Grassley, dello Iowa, che ha collaborato alla stesura del Physician Payments Sunshine Act nel 2010, ha dichiarato che vi è motivo di contestare il flusso di denaro alle cosiddette associazioni di difesa dei pazienti. L’industria farmaceutica ha promosso relazioni in ogni anello della filiera del farmaco, compresi i pagamenti a ricercatori, medici e società professionali. “Ci sono così tanti soldi là fuori, e [le aziende farmaceutiche] si sono fatte così tanti alleati, che nessuno ormai chiede più a gran voce il cambiamento”, ha aggiunto Thacker. Da quando il Physician Payments Sunshine Act ha iniziato a richiedere all’industria di dichiarare apertamente i suoi pagamenti ai medici, l’industria è più riluttante a cooptarli, quindi “le case farmaceutiche hanno bisogno di trovare altri megafoni”, ha dichiarato Adriane Fugh-Berman di PharmedOut. E in tempi di indignazione pubblica per i prezzi elevati dei farmaci e per l’aumento dei costi delle assicurazioni sanitarie, i pazienti sono considerati messaggeri particolarmente simpatici. “I consumatori ammalati fanno buona stampa”, ha detto la Fugh-Berman. “Essi sono dei buoni testimonial davanti al Parlamento e possono diventare dei portavoce molto potenti per le aziende farmaceutiche”.

Per sapere come KHN ha creato il database Pre$cription for Power, si può leggere la metodologia completa qui: https://khn.org/patient-advocacy/#methodology

Libera traduzione e adattamento dell’articolo https://khn.org/news/patient-advocacy-groups-take-in-millions-from-drugmakers-is-there-a-payback/

A cura di Ermanno Pisani